Il governo Meloni interviene sulla scuola con un nuovo piano di tagli, accorpamenti e fusioni: l’articolo 557 della finanziaria innalza il numero minimo di alunni a 900 alunni. La Relazione tecnica allegata alla finanziaria traduce il tutto in numeri: nel 2024-25 le istituzioni scolastiche saranno 7461 e a regime 6886. Oggi sono 8.160. Quindi il governo Meloni vuole tagliare 700 scuole nei primi due anni e 1.274 scuole entro i sette anni successivi. La ricerca del “dimensionamento ottimale” delle scuole è iniziata nel 1998 (con il DPR 18-6-1998, n. 233) sulla base della strana idea che la “dimensione ottimale” di una scuola non sia quella che permette una migliore relazione educativa ma la più razionale gestione amministrativo-aziendale, in modo da trasformare ogni scuola in istituzione dotata di “autonomia scolastica”: il numero “ottimale” di alunni/e doveva essere compreso tra i 500 e i 900. Al di là della retorica, il progetto si è concretizzato in un taglio drastico delle scuole finalizzato al risparmio. Nell’anno scolastico 1998-99 c’erano 12.687 istituzioni scolastiche, dieci anni dopo, nel 2008/2009 erano state ridotte a 10.702.
Negli anni successivi il numero complessivo di istituzioni scolastiche continua a ridursi e allo stesso tempo le scuole assumono dimensioni sempre più grandi, con plessi sparsi su un ampio territorio. Nel 2011 un decreto finalizzato a controllare lo spread innalza anche la soglia minima da 500 a 600 alunni (400 nei comuni montani e nelle isole): riprende il processo di fusioni e accorpamenti e nel 2016-17 le istituzioni scolastiche sono ridotte a 8281, un numero che rimano grosso modo stabile fino ad oggi.
I danni prodotti da quasi 20 anni di tagli sono sotto gli occhi di tutti. Oggi un piano davvero finalizzato al rilancio della scuola dovrebbe invertire questo processo e utilizzare il calo demografico per ridurre il numero di alunni per classe e le dimensioni delle scuole. Invece il governo Meloni fa l’esatto contrario e si impegna in un nuovo piano di spoliazione delle scuole dai territori. L’intera operazione frutterà un risparmio modesto: 88 milioni di euro a regime, nel 2032. Le conseguenze, invece, saranno devastanti e colpiranno i territori in modo molto differenziato: è sempre la Relazione tecnica a spiegarcelo, con grafici e tabelle. Infatti il taglio sarà più pesante per alcune regioni, quelle che hanno un incidenza più bassa di popolazione tra i 3 e i 18 anni: sono l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania, la Calabria, le Marche, il Molise, la Puglia, la Sardegna, la Sicilia, la Toscana e l’Umbria. In tutta Italia la situazione più difficile sarà quella dei comuni di piccole e medie dimensioni, fino a 10.000 abitanti (sono circa 7000 in tutta Italia): comuni che nella maggior parte dei territori non sono in grado di avere una popolazione scolastica di almeno 900 alunni/e. Né è pensabile scaricare il peso dei tagli solo sui grandi comuni, in cui le scuole sono già in sofferenza perché hanno numeri superiori ai mille alunni e molti plessi. Anche le scuole superiori saranno costrette ad accorpare indirizzi diversi ma in alcuni casi potrebbe non essere sufficiente, perché la scuola più vicina si trova nel territorio di un’altra provincia: verranno create scuole inter-provinciali e/o anche inter-regionali, come suggerisce la stessa finanziaria?
La scelta di creare mega-scuole non solo non ha alcuna ricaduta utile dal punto di vista didattico ma anche dal punto di vista organizzativo: gli organici delle segreterie e dei collaboratori scolastici aumentano (poco) in base al numero degli alunni senza tenere conto dei plessi, le attuali tabelle per la formazione degli organici Ata sono assolutamente inadeguate, sia per le segreterie che per i collaboratori scolastici: situazione resa ancora più esplosiva dalle norme che impediscono la nomina del supplente in caso di assenza. Per tutto il personale della scuola, docenti e Ata, l’aumento delle dimensione della scuola si traduce in un aumento dei carichi di lavoro e in un peggioramento della qualità. Venti anni di scuola-azienza e tre anni di pandemia avrebbero dovuto insegnare che privare territori della presenza delle scuole è una scelta sbagliata sotto tutti i punti di vista.
Le tappe per l’attuazione del processo di riduzione delle scuole sono molto stringenti: entro il 30 aprile 2023 il MIM trasmette lo schema di decreto alla Conferenza Unificata, entro il 30 giugno il decreto è adottato dal MIM, di concerto con il MEF, sulla base di un accordo in sede di Conferenza Unificata oppure entro il 31 luglio nel caso in cui MIM e MEF non raggiugano l’accordo in Conferenza unificata. Come Cobas dobbiamo opporci a questo progetto e provare ad ostacolarlo in ogni modo sia come lavoratori/trici della scuola sia come cittadini, dobbiamo trovare nella società tutte le alleanze utili a contrastare questo progetto.
Silvana Vacirca Esecutivo Nazionale COBAS Scuola
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