I principi su cui si fonda il nostro sistema scolastico sono ben enunciati nella Carta costituzionale e in particolare negli articoli 33 e 34: libertà di insegnamento, libertà per i privati di istituire scuole e istituti di educazione, obbligo scolastico per 8 anni, istituzione di borse di studio per consentire a tutti di accedere ai gradi più alti degli studi.
Si tratta di principi generali di particolare rilievo che affondano le loro radici nel vivace e complesso dibattito culturale e politico che si sviluppò nell’ambito della assemblea costituente dove si incontrarono (e talora si scontrarono) “anime” diverse: quella cattolica, quella socialista e comunista e quella liberale (è una semplificazione perché in realtà le posizioni furono ancora più articolate).
Per la verità già a partire dal 1943 si era formata nel Paese la coscienza che la scuola doveva essere rifondata e ricostruita.
Nei due anni in cui, soprattutto al nord, si sviluppò la “guerra di Resistenza”, si consolidò la consapevolezza che non sarebbe stato possibile uscire definitivamente dal fascismo senza mettere mano ad un serio progetto politico e pedagogico di riforma radicale del sistema scolastico, tanto che molti studiosi ritengono che si possa e si debba parlare di una vera e propria “pedagogia della Resistenza”.
Pur con le profonde differenze fra le componenti dello stesso movimento di Resistenza, alcuni principi erano sostanzialmente condivisi
Nella Repubblica partigiana dell’Ossola si sviluppò una delle vicende più straordinarie di quella fase: nel settembre del 1944 una delle prime decisioni assunte dalla Giunta provvisoria della Repubblica fu proprio quella di istituire una “Commissione didattica” alla quale venne affidato il compito di redigere un progetto d riforma del sistema scolastico, anche in vista della riapertura delle scuole, prevista per i primi giorni di ottobre.
La Commissione, presieduta dal padre rosminiano Don Gaudenzio Cabalà (ne faceva parte anche il noto storico della letteratura Gianfranco Contini), lavorò con grande impegno e nell’arco di un paio di settimane consegnò alla Giunta un ampio documento programmatico in cui si sottolinea che le parole “educare e rieducare” devono necessariamente stare ad indicare la necessità di preparare i giovani ad essere cittadini dell’Italia ma anche dell’Europa.
Ovviamente c’erano problemi pratici molto urgenti da risolvere come per esempio quello di eliminare dalle scuole i vecchi libri di testo voluti dal regime e improntanti alla retorica dello slogan “dio, patria e famiglia” o alla celebrazione delle “gloriose imprese italiche” in terra d’Africa.
Per fare questo si chiese persino aiuto agli “amici” del Canton Ticino che prontamente inviarono nella Val d’Ossola alcuni autocarri carichi di libri.
Il progetto non prese neppure avvio perché l’esperienza della Repubblica dell’Ossola venne soffocata sul nascere dall’esercito della Repubblica Sociale che riconquistò il territorio il 20 ottobre del 1944.
Gli ideali “ossolani” rappresentavano un “nocciolo” importante degli ideali del movimento partigiano e il CLNAI (Comitato per la liberazione nazionale alta Italia) che aveva ben chiaro l’arduo compito che si sarebbe dovuto affrontare una volta che il Paese fosse stato liberato dal nazi-fascismo.
In un testo di estremo interesse sull’argomento (“Gli ideali pedagogici della Resistenza”) lo storico Quinto Casadio passa in rassegna le tematiche più significative che in quel drammatico periodo emergevano e si consolidavano nei partiti, nelle formazioni partigiane e che venivano diffuse soprattutto attraverso la stampa clandestina.
Nelle Brigate partigiane si era consolidata la pratica dell’ “ora politica”, momenti di dibattito e di confronto nel corso dei quali i partigiani più “colti” proponevano anche delle vere e proprie “lezioni” di storia, di politica, di filosofia ma anche di letteratura; lezioni nel corso delle quali si dibatteva anche sul futuro del Paese dopo la fine della guerra.
Al di là delle posizioni politiche era molto diffusa l’idea che sarebbe stata necessaria una profonda riforma scolastica ispirata a ideali di libertà e di giustizia e improntata a pratiche educative antiautoritarie.
Fra i più attenti fu Augusto Monti, scrittore, docente e attivo nel Partito d’Azione, che il CLN incaricò di predisporre il programma politico per la “ripresa”.
Monti indicò alcuni punti fermi e, sul piano organizzativo, suggerì caldamente di estromettere da ogni incarico dirigenziale nel Ministero dell’Istruzione tutti coloro che risultavano in qualche modo compromessi con il regime fascista; suggerimento rimasto in buona parte inascoltato (e questo fa comprendere anche i motivi per cui gli “ideali pedagogici” dell’antifascismo e della Resistenza fecero di fatto fatica a consolidarsi nella pratica quotidiana nonostante i nobili enunciati della Costituzione).
Uno dei punti fermi della “pedagogia della Resistenza” fu anche quello dell’”autogoverno della scuola” in modo da contrastare il centralismo burocratico del regime fascista.
E anche l’idea di una “scuola media unica” per tutti era ben presente nel dibattito politico e culturale di quella fase, anche se poi bisognerà aspettare fino agli inizi degli anni ’60 per vederla realizzata.
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