Il 27 gennaio di ogni anno si celebra la giornata della memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto: non si è costretti a farlo, ma sicuramente bisogna portare rispetto per milioni di persone che hanno perso la vita in modo barbaro. Ed è proprio quello che non è stato fatto da un gruppo di liceali quindicenni, che quel giorno, riuniti in un locale bolognese, avrebbero fatto realizzare delle torte di compleanno a tema nazista: su una di quelle torte ci sarebbe stato raffigurato Hitler al telefono, con la frase: «Pronto cara, accendi il forno che sto arrivando». In un’altra c’era scritto: «E vai che sarà una serata a tutto gas».
Secondo il Corriere di Bologna tre liceali si sarebbero rifiutati di mangiare la torta. A riferire l’accaduto è stato qualche genitore. Ma, soprattutto una professoressa, Vanessa Roghi, che insegna all’Università La Sapienza “Visualità e storia e fa documentari di storia per Rai tre”, che ha scritto un lungo articolo – sulla rivista on line della Loescher – dal titolo “La torta di Hitler o della banalizzazione del male”, nel quale non ha indicato il luogo di svolgimento del fatto, ma tutto il resto corrisponde.
La professoressa universitaria scrive che “un ragazzino, presente alla festa, rimane sconcertato. Tornato a casa lo dice alla mamma, che subito chiede conto di quanto accaduto ai genitori del festeggiato. È solo una battuta, rispondono, e «ci dispiace di aver urtato la tua sensibilità», mentre gli altri genitori minimizzano: «sono cose da ragazzi»”.
“Cose da ragazzi – sottolinea la docente -. In effetti è vero, sono cose da ragazzi: quella che è apparsa sulle torte è una delle tante immagini che passano sotto la categoria black humor. Sono andata a fare un giro su Instagram, che è il social preferito dagli adolescenti, per cercare di capire innanzitutto come funzioni la disseminazione di immagini di questo tipo”.
La professoressa Roghi scrive che “ci sono hashtag come #blackhumor, o #darkmemes, vere e proprie miniere da cui scaricare quei meme [contenuti virali, di solito costituiti da immagini rielaborate o elaborazioni grafiche, N.d.R.] che spesso ci capita di vedere condividere su Facebook. Battute demenziali, alcune anche molto divertenti. Senza alcuna gerarchia: dialoghi nonsense, roba sessista ma anche sprazzi di femminismo, qualche falce e martello – poche, in verità –, qualche svastica”.
“Poi ci sono i #memehitler. Anche qua dentro si trova un po’ di tutto: roba ai limiti dell’apologia, apologia vera e propria, ma anche guizzi di antifascismo”.
“Difficile davvero per un ragazzo fra gli 11 e i 15 anni districarsi in questa selva di immagini che piovono nella sua fantasia. Difficile ma non impossibile: se uno, per esempio, è stato educato fin da piccolo al fatto che il nazismo è un problema serio, che molte persone, milioni di persone sono morte per via del nazismo, allora farà davvero fatica a ridere per i meme in cui Hitler dice battute sui forni”.
“Ma se uno invece – sostiene la prof – non ha avuto un’educazione di questo tipo – cosa affatto possibile in anni nei quali diventano genitori persone cresciute in tempi di memoria condivisa, di tutti i morti sono uguali e di questa «rottura di coglioni degli ebrei», come ha detto pochi giorni fa Vittorio Feltri –, beh allora la condivisione di un’immagine di Hitler che dice barzellette antisemite può risultare normale, innocua, persino ironica”.
“Io – continua la docente – ho buttato la cosa su Facebook, senza dire né dove né chi, e le reazioni sono state le più disparate, soprattutto preoccupate, e invocano l’intervento delle famiglie, della scuola, delle forze dell’ordine. Soltanto una professoressa, che insegna alle medie, ha sollevato il problema di cosa ne pensano i ragazzi stessi che hanno avuto parte, come attori o come semplici comparse, in questa storia”.
“Lei si chiama Cecilia Brugnoli, e mi ha detto: «Resto convinta che questi ragazzi vadano intervistati in modo rigoroso. Io l’anno scorso ho fatto la talpa: loro mi chiedevano, “Prof, ma che cosa ne farà di queste chat con noi?”. E io rispondevo: “Le userò contro i miei prossimi alunni, perché finalmente ho dei dati per capire che cosa vi passa per la testa, dove e come vivete””.
“Erano battute, ma rendono l’idea che sarebbe molto importante creare una base di fiducia con questi ragazzini che in fondo hanno una gran voglia di parlare. Solo che noi insegnanti e genitori continuiamo a fare lezioncine. Sarebbe ora che li lasciassimo parlare. Per dare a noi stessi la possibilità di capire qualcosa… altrimenti siamo noi quelli spacciati, quelli che non capiranno mai nulla. Loro si arrangiano, si auto-regolano, per così dire. Vogliamo capirci qualcosa sì o no? Questa è la domanda che mi faccio io, Hitler o non Hitler»”.
Secondo la docente, che si definisce ‘storica del presente’, “non deve essere facile per il ragazzino che ha sollevato il problema adesso stare in una classe forse in gran parte silente di fronte a quanto è successo. Che fare? Alla fine parlarne con lui con il suo gruppo di amici mi sembra la cosa migliore, prendendoli molto sul serio. Soprattutto prendendo molto sul serio chi ha scelto di mettere sulla torta del suo compleanno Hitler e non Fedez: non deriderlo, non linciarlo, capire cosa gli passa per la testa”.
“Io lo so che il tempo è poco, che in Francia hanno deturpato altri cimiteri ebraici, che a Roma hanno rubato le pietre di inciampo poste a memoria di 20 deportati nel quartiere Monti. Per questo bisogna lavorare con i ragazzi: perché gli adulti mi sembrano già persi: quelli che preparano la torta sono persi, persino i genitori che prendono così poco sul serio il proprio figlio da considerare goliardia ogni richiesta”.
“Lavorare con i ragazzi, perché il compito nostro, degli adulti, non è rivolgerci alla polizia, ma, come scrive Daniele Aristarco «tenere, saldo e teso, il filo che lega il passato al presente». E se nel presente c’è una torta con su disegnato Hitler evidentemente in quel filo c’è una maglia che non ha tenuto. Ricucirla, mi sembra, è il compito più importante che abbiamo”.
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