Dal ragazzo che per festeggiare la fine dell’anno si getta nel lago, assieme ai compagni di scuola e agli amici, ma perde la vita, a quell’altro che getta il banco dalla finestra, mettendo nei guai il prof che l’avrebbe dovuto impedire, a quell’altro ancora che precipita, non si capisce come, dalla finestra del bagno di un appartamento privato dove si festeggiava pure lì la conclusione delle lezioni.
Ma poi c’è chi si getta nella fontane pubbliche delle città e chi fra le onde del mare, e altri ancora che, nelle città e fra i passanti, si scatenano in una sorta di battaglia di gavettoni fra fontane, fontanelle e zampilli d’acqua. Altri stuoli di alunni si lasciano invece buttare tra le braccia dell’alcol, quello forte, fino ad arrivare al coma etilico e per concludere l’avventura al pronto soccorso.
Chissà, forse sotto sotto, e nell’inconscio collettivo, possono pure simboleggiare, tutte queste ricorrenze, dei riti propiziatori per assicurasi buone vacanze?
Insomma, gli studenti si lasciano andare, con poche inibizioni, dentro una serie di eventi utili a festeggiare un ben altro evento importante, quale è appunto la liberazione dalla scuola.
E lo fanno mettendo in opera ciò che sembra trasgressivo per dire appunto addio, e magari con sberleffo, ai prof e ai banchi, ai bidelli e alla campanella, almeno per quel trimestre, all’incirca, tra la metà di giugno e la sua apertura di metà settembre.
Che è poi un modo per segnalare al mondo che in fin dei conti la scuola non è un luogo piacevole dove stare, ma una sorta di prigione che costringe e limita, che opprime e obbliga, talvolta senza motivo, a tenere comportamenti non appropriati alla propria natura. Che proprio lì dentro, dentro le mura dell’aula, non vorrebbe essere costretta.
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