Nella rubrica “Caro direttore” sul Corriere della Sera, c’è spazio per la lettera di un lettore riguardante l’educazione dei figli. Eduardo Vaccaro racconta un episodio che ha come protagonisti padre e figlio: il ragazzo infastidisce e insulta un anziano e questi reagisce con parole di rimprovero.
La persona offesa rimprovera il padre per il pessimo comportamento del figlio e questi risponde che alla educazione del figlio dovrebbe pensarci la scuola perché “lo manda là per educarlo dato che lui, come sua moglie, lavora e non hanno tempo per educarlo”.
La riflessione del lettore è amara: “È l’atteggiamento emblematico di troppi genitori che non solo giustificano la condotta strafottente (quando non commettono di peggio) dei figli, ma prendono a calci e pugni chi tenta di reagire alle provocazioni di questi giovani ineducati gridando che “lavorano e mandano i figli a scuola per essere da essa educati!”. Già, la scuola: essa ha l’obbligo di educare prepotenti a cui i loro genitori consentono di tutto e di peggio?”.
Il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, risponde così alla amara constatazione: “Leggiamo e raccontiamo spesso casi di genitori che tentano di giustificare con motivazioni singolari la cattiva educazione dei propri figli. Lo fanno a scuola dando continuamente torto ai professori severi con i ragazzi, trasformandosi in avvocati difensori degli studenti. Quando va bene contestano i docenti, quando va male passano perfino alle mani. Lo fanno a casa rinunciando ai propri doveri di educatori. Ci piace avere sempre l’approvazione dei ragazzi, rinunciando al compito di contraddirli, correggerli quando il loro comportamento è sbagliato. A volte padri e madri si comportano in maniera opposta, lasciando ai figli il compito di preferire l’uno o l’altro. Mi sembra che non ci sia impegno sul lavoro che possa giustificare questa fuga dalla responsabilità educativa che la scuola non potrà mai compensare completamente. Qualche padre e madre — questo è il problema — vuole sentirsi sempre più giovane e solo un amico dei propri ragazzi. Non va bene”.
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