Home Generale Figure femminili e paesaggi: studio critico di Gaetano Cosentini alla luce dei...

Figure femminili e paesaggi: studio critico di Gaetano Cosentini alla luce dei classici

CONDIVIDI

Breaking News

April 24, 2025

  • Funerali Papa Francesco, scuole chiuse a Roma. Nel resto d’Italia minuto di silenzio il 26 aprile o al rientro dalle vacanze 
  • Elezioni Rsu scuola 2025, risultati parziali: Flc Cgil si conferma sindacato più votato, le ultime notizie 
  • Maestra su Onlyfans licenziata, boom di followers. L’annuncio: “Farò ricorso. Le mie colleghe? Neanche un messaggio” 
  • Rocco Hunt, la sua ex scuola gli dedica un murale e lui la visita. I suoi docenti: “Vivace ma poco interessato allo studio” 

Gaetano G. Cosentini, che conosciamo per antica data, anche attraverso gli scritti, non smette di stupirci con questo nuovo libretto che pubblica “smart”, per il piacere degli amici, ma anche di chi vuole penetrare misteri letterari che la comune critica non ha voglia di scrutare, forse per pinguedine di ricerche o forse pure per nequizia accidiosa. 

In ogni caso, ci pensa il nostro Cosentini che, per Smartstampa.it, pubblica “Figure femminili e paesaggi”, 9,50 €, con cui intrattiene il lettore (quello a cui  anche Umberto Eco, e non solo, si rivolgeva) su quattro apparentemente diversi argomenti, in cui però appare costante il “leitmotiv” rappresentato dalla bellezza femminile, quella descritta dai poeti, ma anche sbocciata dalla natura, visibile nei paesaggio e nel mondo, e ancora oltre, pure nei suoi accadimenti fantastici, dipinti dall’arte nobile della parola quando diventa poesia e musica.

Non la “selva selvaggia”, ma i meandri lussureggianti perfino tra le pietraie laviche dell’Etna e le ridenti coste dove Pascoli soggiornò, contendendo al Lawrence i profumi erotici delle campagne peloritane dove si tuffa Taormina con i cangiamenti dei colori delle sue torri scoscese fra mutevoli tavolozze di mare. 

E l’inizio di questo excursus, non poteva non avere come protagonista, l’archetipo di ogni bellezza muliebre, quell’Elena del mito classico che Faust volle togliere alle Madri sotterranee ad Engyum per piegarla alla primitività nordica, e che Cosentini, da par suo, descrive attraverso tutti i riferimenti letterari che la poesia greca, e non solo, ha intrecciato su di lei, compreso il racconto di Gorgia, secondo cui a essere rapita da Paride, non fu la donna ma una sua immagine, un “Eidolon” grazie a cui, tuttavia, si spiegherebbero tanti altri accadimenti.

Allo stesso modo di quel “demone meridiano” rappresentato da  Gabriele D’Annunzio, silvano e assetato d’amore, cantore di ninfe lacustre e piogge che, se purificano, richiamano pure i diluvi sacri della cultura classica e no, mentre la donna diventa natura, “rosa fresca aulentissima”, ma senza scordare tra i suoi passaggi lacustri Elena, incantatrice ma sterile nei sentimenti. 

E la donna, proprio questa donna, su cui perfino il mito germanico si è intrattenuto, è motivo per passare a David Herbert Lawrence, di cui Cosentini però non cita l’opera che in qualche modo lo ha reso famoso, ma ci racconta del suo pellegrinare per la Sicilia, inseguendo l’aspirazione a sanarsi, mentre ammira e loda i latifondi verghiani e lo stesso scrittore di cui, in un impeto di assoluta passione, traduce i suoi racconti. Ma si commuove pure dell’Etna e la canta, imitando in qualche modo Pindaro, e inseguendo Dionisio nell’erotico segno delle sue fantasie, dove anche il mandorlo e il ciclamino assumono connotazioni poetiche, visibili nelle composizioni che l’autore regolarmente riporta, per dare forza alla sua analisi critica attorno a un artista forse troppo superficialmente trattato.  

Cinque paragrafi, invece, occorrono a Cosentini per raccontarci un Giovanni Pascoli per lo più inedito, attento alle similitudini tra sentimenti umani e sensibilità animale: la capinera, ne la “Quercia abbattuta” che non trova il nido, in uno scambio ideale e culturale con la letteratura classica su cui il Nostro intesse per lo più le sue analisi strutturali e le sue osservazioni acute di studioso severo. 

Come è, per esempio, il recupero della notte da parte di Pascoli, quando attinge ai lirici greci, insieme allo stupore, e non già solo difronte alle lacrime di San Lorenzo, ma anche in componimenti come il “Rammarico” o il “Gelsomino notturno”,  oppure ancora nell’amore per il mondo contadino da cui discendeva e dove si era in qualche modo formato, attingendone materia di ispirazione e studio. Un Pascoli inedito anche lui, osservato e studiato in Sicilia, mentre insegnava all’Università di Messina, affascinato dall’Etna e dai suoi ossimori, mentre ancora una volta quella classicità, che aveva spinto Goethe, insieme a tutta quella schiera di viaggatori, a raggiungere l’isola del Sole e dove pure la Grecia aveva trovato se stessa , viene dal poeta del “fanciullino” respirata con quella voluttà poetica e creativa che ne hanno tramandato le opere e le intuizioni artistiche. 

Libretto, dicevano, nuovo nel suo genere, un saggio, se così si può dire, di critica letteraria che scava laddove  i manuali convenzionali non riescono ad arrivare e non già solo per motivi di semplificazione, considerati i destinatari, ma anche per acutezza di analisi, dentro cui, come abbiamo più volte sottolineato, il “Classico”, che è tale perché sempre attuale, diventa la pietra di paragone per indagare con animo perturbato e commosso questo straordinario fascio di luce regalatoci dal nostro amico.