Un Istituto Comprensivo di Roma — il “Borgoncini Duca” — si pone come capofila nella sperimentazione della “Philosophy for children” (“P4C”): una tecnica didattica particolarmente innovativa di cui la nostra testata si è già diffusamente occupata un anno fa, e che è finalizzata allo sviluppo del pensiero critico e astratto fin dalla Scuola Primaria (particolarmente importante per emancipare i giovanissimi dal piattume consumistico cui oggi sono esposti).
Il Maestro Salvatore Conforti è stato esonerato dall’insegnamento di tutte le discipline e “promosso” a portare avanti le sessioni filosofiche della “P4C” in tutte le classi del plesso.
Le parole della Dirigente
“La Tecnica della Scuola” ha intervistato la Dirigente Scolastica dell’Istituto, Professoressa Annamaria Lamberti:
Preside, come ha inteso affrontare la “Philosopy for Children” nella sua Scuola?
Nella Scuola i progetti si avviano grazie a una forte richiesta dei docenti, i quali ascoltano le esigenze delle famiglie. Tre anni fa due insegnanti (uno di Scuola Primaria e uno di Secondaria di Primo Grado) hanno espresso la volontà di formarsi sulla filosofia per bambini, intesa però non — ovviamente — come storia della filosofia, ma come laboratorio didattico che permettesse di lavorare allo sviluppo del pensiero complesso e critico fin da piccoli. I docenti si erano appassionati al tipo di percorso, e si sono formati avviando il percorso stesso all’interno delle proprie classi con l’ausilio di guide, riscontrando risultati molto positivi rispetto all’apprendimento nelle altre discipline. Quindi hanno approfondito la propria formazione e i percorsi con i ragazzi, attivandoli in più classi. In seguito i docenti hanno chiesto di rendere questo laboratorio di filosofia per i bambini un momento settimanale ricorrente in classi di Scuola Primaria e Secondaria. Perciò, con un Collegio Docenti concorde, che ha trovato interessante la proposta e si è formato in materia, siamo arrivati a concepire all’interno dell’ambito linguistico di italiano un’ora settimanale nelle classi ove si sperimenta questo laboratorio di pensiero. I bambini, liberi anche da ciò che caratterizza le discipline tradizionali (cioè la necessità di produrre risultati valutabili), riescono a esprimersi liberamente e a sviluppare il proprio pensiero, anche socializzandolo con competenza: quindi con una dinamica all’interno del gruppo classe molto diversa da quella richiesta da una disciplina tradizionale. Perciò siamo arrivati quest’anno a organizzare la cosa in modo significativo — con la scelta di tutto il collegio — all’interno delle classi. Inoltre ho attivato una rete di scuole per la formazione dei docenti. Le altre scuole hanno avviato questo percorso attraverso i propri insegnanti. Oltre a tre eventi significativi che si sono svolti nella Protomoteca del Campidoglio, abbiamo quest’anno costruito insieme al Comune di Roma un’idea, che si dovrebbe poi concludere con un “Festival della filosofia” a villa Pamphili nel maggio 2020, con la partecipazione delle scuole della rete che all’interno di questo percorso si sono mosse anche a livello nazionale.
L’esperienza del Maestro
Interessanti anche le parole con cui il Maestro Salvatore Conforti ha risposto alle nostre domande:
Maestro Conforti, quali motivazioni l’hanno spinta a sperimentare una didattica così innovativa?
La spinta è racchiusa nella parola rivoluzione. Una rivoluzione nel metodo di insegnamento e di apprendimento, cioè un capovolgimento totale che destruttura la classe, la sua spazialità, il flusso delle informazioni che passano tra docente e discente. C’è un passaggio di conoscenze diverso da quanto avviene di solito nella ricezione dei messaggi, nel coinvolgimento attivo e propositivo degli alunni.
Ci spieghi meglio il senso del termine “rivoluzione” riferito all’insegnamento.
Questo metodo è un ribaltamento totale, sia di ordine sociale che comportamentale. Al centro dell’azione educativa e didattica c’è una sollecitazione profonda che attiva il pensiero nelle sue più svariate componenti. Oggi il pensiero è messo in stand-by, in subordine, dall’utilizzo che gli alunni fanno dei mass media. Gli stessi smartphone, disponibili ad ogni ora del giorno e della notte, fanno sì che il pensiero, più che sollecitato ad agire, sia sollecitato ad appassire. La sollecitazione offerta dalla “P4C” risponde a una esigenza sociale: l’esigenza di rimettere in funzione il pensiero autonomo, riflessivo, critico, complesso. Citando il presidente del consiglio Conte, potrei dire che la “P4C” è un investimento strategico per il futuro: garantisce una migliore integrazione personale e aiuta a combattere le diseguaglianze sociali.
Quali cambiamenti ha notato nei suoi alunni?
Basterebbe dire che i loro risultati scolastici sono migliorati, ma voglio esser più esaustivo: sono migliorati l’ascolto, la partecipazione attiva, l’aderenza dei dialoghi ai temi trattati. I bambini manifestano addirittura una certa ricercatezza espressiva e formale: aspetto fortemente innovativo per la scuola con i bambini.
Come manifestano i bambini questa voglia di partecipare?
Per esempio con la loro richiesta pressante di recuperare le ore di “P4C” che per qualche motivo tecnico non erano state effettuate. Cosa che non accade facilmente, perché di solito i bambini preferiscono recuperare le attività ludiche, o musicali, o ricreative.
Di conseguenza si è modificato il suo atteggiamento verso la didattica?
Potrei dire di essere stanco, essendo alle soglie della pensione; ma in realtà questa stanchezza viene meno, perché ho ritrovato la freschezza della mia volontà di continuare. Ho un rimpianto: di non aver incontrato prima la “P4C”. Ma, come diceva un nostro maestro del passato, non è mai troppo tardi.
Lei è l’unico maestro in Italia cui venga affidato tutto un plesso per un’iniziativa del genere. Ciò la inorgoglisce o la spaventa?
Sento la responsabilità certamente: anche per chi ha deciso per me e si è assunta una tale responsabilità. È una scelta non facile, ma questa sfida mi rende orgoglioso, perché ho la consapevolezza che, dopo tre anni di esperienza in questo settore, gli effetti positivi sono tangibili anche nel campo dell’inclusione scolastica. Perfino l’Unesco ha riconosciuto alla “P4C” il merito dell’inclusività.
Ci può fare un esempio di quanto succede durante le sessioni filosofiche con i bambini?
Quanto accade, ovviamente, non ha a che fare con la storia della filosofia, ma con il filosofare, con il dialogare, con il ragionare. L’anno scorso Elisa, 7 anni, durante un’attività, rispose a un compagno, che le aveva chiesto cosa fosse per lei il sogno, con le seguenti parole: «Il sogno è per me un’abitudine della notte». Non so quanti adulti sarebbero in grado di rispondere con una tale profondità. Luca, di otto anni, ha dato una definizione del destino: «Il destino è un libro bianco che si scrive da solo e che ognuno nasconde a seconda della persona in una parte del mondo a noi ancora ignota». Caterina, anni 9, alla domanda su quali fossero le differenze fra mente e cervello, ha risposto: «Dal punto di vista logico è il cervello che prevale sulla mente, perché è lui che ci fa sentire sensazioni come il dolore e il suono. Dal punto di vista filosofico, però, la mente è molto più aperta del cervello, perché è come l’aria che si espande in tutto lo spazio che ha a disposizione». Noi non avevamo mai parlato con i bambini in termini strettamente filosofici, eppure lei è riuscita a comprendere la differenza tra ciò che è tecnico, scientifico, fisico, e gli aspetti filosofici.