Finalmente questa benedetta prova preselettiva per i futuri presidi.
La prima cruna dell’ago è un test, con 100 quesiti in 100 minuti.
Se a scuola sappiamo bene che i test non possono essere l’unica forma di valutazione, per i presidi questa ovvietà non è ovvia.
Possono emergere, al di lá delle nozioni richieste, da un test quelle capacità che poi sappiamo essere necessarie, imprescindibili, al lavoro di preside?
E chi non ha una spiccata capacità di memorizzazione? Contano più le nozioni, per cui dovresti sapere tutto, oppure la capacità di orientamento, cioè il metodo, quello che ti consente di avere sempre in mano la situazione? Per cui, se ne hai bisogno, potrai poi, individuato un problema, cercarti le risposte adeguate…
Che conosce la scuola reale sa che queste prove sono un bluff.
Perché non selezionano, se così posso dire, i cosiddetti “migliori presidi”.
Basta fare un giro tra le scuole, compreso il rilievo che nell’ultimo concorso più di qualcuno dei vincitori, dopo poche settimane di inizio del nuovo lavoro nelle scuole assegnate, hanno preferito ritornare all’insegnamento.
Troppa complessità, troppa responsabilità, per pochi euro in più…
Se vogliamo rincarare la dose, chi conosce la scuola reale sa che una delle difficoltà che si incontrano oggi riguarda la dirigenza unica. Ex-maestre presidi delle superiori o ex-docenti presidi dei comprensivi.
Ovviamente, ci sono belle eccezioni. Ma ciò dipende dalla capacità di queste persone, non dalla professionalità maturata.
Chi conosce i concetti di life skills e di soft skills?
Come si misura la capacità di relazione? La scuola è solo organizzazione e gestione? Dove lo mettiamo il timbro culturale? Quali sono i comportamenti che comunicano autorevolezza?
Tutti misteri di cui pochi hanno la benché minima informazione oggi.
Per questo motivo, non hanno più senso questi concorsi, nè per i presidi nè per le altre figure.
E l’unica via d’uscita è la valorizzazione della scuola reale, con la fine del falso mito della gestione centralizzata di questi concorsi, mentre dovrebbe spettare al ministero solo la definizione degli standard e, soprattutto, delle verifiche. Con la certezza del diritto a fare da cerniera.
Questo significa “servizio pubblico”, con al centro gli utenti, compresi gli enti locali, e non più l’autoreferenza, come continua ad essere oggi.
Auguriamo a questi docenti che si apprestano a tentare la scalata della montagna dei quiz di pensare anzitutto alla “scuola reale”, che sanno, o dovrebbero sapere, essere il vero valore aggiunto alla loro “dignità” di docenti e, si spera, di presidi.
Tutto il resto è necessario, ma non sufficiente.
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