Quando una stagione si chiude, nel bene o nel male, si fa un bilancio e, non di rado, qualche elemento positivo è possibile raccoglierlo… Ma, per i precari della scuola, in particolare, per il sistema scolastico in generale, questa premessa non è valida ed alla chiusura di ogni anno scolastico si lasciano delle eredità pesanti che non permettono di riscontrare alcun progresso.
Regalo di fine anno, la dichiarazione del Miur dell’ipotesi di innalzamento dell’orario di lavoro dei docenti fino al doppio dell’attuale, seguita da slogan demagogici che vorrebbero siano “premiati” gli insegnanti secondo criteri fumosi di “merito” e “volontà”. Proclami molto simili al “bastone e carota” di Monti e Profumo, sulla linea di un disconoscimento e di una svalutazione della figura del docente che si perpetra da anni e che si ripercuote pesantemente sull’intero sistema, oltre che sulla sfera professionale e su quella istituzionale.
Ma oltre alle nefaste prospettive introdotte dalle ipotesi di questi giorni – che vanno nella direzione non della stabilizzazione dei precari quanto verso la volontà politica di “licenziarli” in tronco- sui precari gravano le assurde modalità con le quali tutto ciò che li riguarda viene affrontato.
Per i diplomati magistrali, in servizio da anni in modo legittimo nelle scuole, viene concessa una iscrizione nella II fascia delle graduatorie d’istituto svalutata, dopo anni di sfruttamento, di negazione e di ostruzionismo istituzionale, nel silenzio del mondo politico e sindacale.
Una vicenda questa, conclusasi con una vittoria apparente, visto che il passato di disconoscimento pesa come un macigno sulla carriera professionale di questi docenti, dopo anni di ricorsi respinti e che solo la spada di Damocle dell’Europa ha potuto sanare. Ma la loro condizione da anime del limbo è aggravata dalla mancanza di adeguamento delle norme che li includono, prima tra tutte il DM 249/2010, sulla formazione iniziale docenti. Contemplati tra i non abilitati in questo decreto, avrebbero dovuto frequentare i Pas, ai quali non si opponevano per principio ma perché tale decreto non migliorava la loro posizione, in quanto già di abilitati, e li collocava al termine in una fasci di reclutamento che già spettava loro, sebbene negata. Altra cosa sarebbe stata se la frequenza dei PAS ne avesse migliorato le prospettive ma le università italiane si sono messe di traverso, negando loro persino l’istituzione dei corsi, in nome di un principio meritocratico che celava interessi economici e malafede. E dopo il danno subito per anni, la beffa di un riconoscimento “deprezzato” persino nei confronti delle abilitazioni straniere che, secondo le tabelle ministeriali, valgono ben due punti in più! Ma esiste, in questo Stato, un residuo di equità?
Per i docenti della secondaria, dopo il “contentino” dei PAS, che ricordiamolo a tutti, è stato voluto per limitare le “probabili sentenze di condanna dell’Amministrazione a dare attuazione al D. Leg.vo 9/11/2007 n. 206 che, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, fa discendere il riconoscimento dell’abilitazione anche all’effettivo svolgimento dell’attività professionale” (nota Miur 8 maggio 2012), la beffa di una differenziazione in termini di punteggio del proprio titolo abilitante. Le tabelle di valutazione dei titoli per la costituzione delle graduatorie d’istituto, infatti, attribuiscono ben 30 punti a chi, dopo le imbarazzanti revisioni dei test preselettivi per l’accesso ai Tfa della passata stagione, ha superato lo scoglio del numero chiuso, voluto non tanto per controllare il numero dei potenziali docenti e per testarne la preparazione, quanto il numero dei potenziali “problemi.” Legittima, infatti, la richiesta, da parte di questi ultimi -dopo aver superato una prova di tipo concorsuale- di ingresso nelle Gae, che invece sono state blindate arbitrariamente. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori, utilizzato comunque senza l’obbligo di stabilizzazione, per garantire lo svolgimento regolare del servizio scolastico nazionale, in barba alla direttiva europea del 1999, contro lo sfruttamento del precariato. Ma per il Miur, le direttive europee sono carta straccia, usate solo per convenienza, quando si tratta di salvarsi dalle condanne, non per tutelare i cittadini, i propri dipendenti.
Ma ritorniamo agli abilitati Pas… qualcuno sa che molti, moltissimi dei docenti che si sono abilitati con questi percorsi hanno superato le prove d’accesso dei Tfa e che pur essendo idonei, ma non classificati in graduatoria utile, non sono potuti entrare? E perché il superamento delle prove d’accesso al Tfa, una volta conseguita l’abilitazione in altro modo, non sarà valutato ai fini del punteggio in graduatoria?
E ancora, quale decisione poteva essere presa, in assenza di una chiarezza iniziale, senza che questo oggi si ritorca come un boomerang? Nello specifico, la carta dei Pas, è stata giocata non perché vista come una scorciatoia, ma perché nel caos che ormai caratterizza da anni questo Paese, era la proposta dedicata ai docenti con servizio, un percorso parallelo ai Tfa, normato dallo stesso decreto, con l’unica differenza di non avere uno sbarramento iniziale, illogico per chi svolgeva la professione a pieno titolo da anni. Una sopravvalutazione dei test iniziali, a posteriori tra l’altro, era del tutto imprevedibile, alla luce dei fatti e del buon senso, soprattutto dietro le ammissioni dell’amministrazione che, ormai messa all’angolo dalle leggi dello stato e dalle normative europee, non poteva che rispettarle e applicarle.
In maniera del tutto arbitraria, quindi, si sta tentando di alimentare una logica del merito che fa acqua da tutte le parti, applicata a comodo, strumentalmente e in modo incoerente, se si pensa che lo scaglionamento dei PAS, altra nota dolente, sulla quale nessun sindacato ha speso una sola parola, è stato operato solo sul servizio, senza tener conto dei titoli culturali dei docenti, stravolgendo così le graduatorie reali e, cosa ancor più grave, viste poi le scelte politiche a riguardo, senza neanche tener conto del superamento dei test preselettivi che, oggi, sono la discriminante per affossare, ancora una volta, i docenti precari storici.
Ma i sindacati non dovrebbero tutelare i lavoratori? Ma i Ministri non giurano sulla Costituzione? E non è forse il lavoro uno dei diritti fondamentali, un principio inalienabile basilare per il benessere e la dignità personale? Certo, parlare di diritti, oggi come oggi, sa di ammuffito, di stantio ed evocare la Costituzione appare quasi reazionario.
Noi di Adida, nauseati da quanto abbiamo dovuto gestire in questi anni, ma mai stanchi di ribadire quanto sosteniamo, riteniamo che le forze politiche, adesso, non possano più nascondersi dietro ad un dito. Ci siamo veramente stancati anche di ricorrere alla magistratura per poter vedere rispettati i nostri diritti, quei diritti che lo Stato dovrebbe onorare e non calpestare come sta facendo da anni a danno non solo dei precari ma dell’intero sistema scolastico italiano. Inizieremo una nuova stagione di dialogo con il mondo politico, ben sapendo che, in quest’ordine delle cose, le migliaia di docenti che si rivolgono a noi sono un interessante bacino di consenso. Speriamo, invece, che chi si impegnerà a sostenere le nostre legittime richieste, lo faccia per coerenza e senso del diritto, dimostrando di condividere le richieste, non di “cavalcarle.” Queste affermazioni derivano dalla stanchezza, certo, ma anche dalla convinzione che non si possa più proseguire una battaglia politica nelle aule dei tribunali, cosa questa che contribuisce per altro ad un enorme spreco di denaro pubblico.
La nostra energia, d’altro canto, non è diminuita in questi anni, non avendo più nulla da perdere. La dignità, quella, di certo non l’abbiamo persa, umana e professionale, e proprio su questa affonda le radici la nostra forza, nonostante i ripetuti attacchi e il tentativo pluriennale di farci svanire!
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