Attualità

Fine ingloriosa della DAD, da salvifica a “gravemente dannosa”

Nata con il lockdown della primavera 2020 come unico strumento per mantenere un canale aperto fra scuola e studenti in epoca di pandemia, la DAD è stata poi elaborata come DDI, con una metodologia e finalità specifiche, per finire poi reietta come “gravemente dannosa”.

La DAD del primo lockdown e l’impulso al rinnovamento


Durante il primo lockdown, la DAD ha salvato un anno scolastico. Certamente una funzione positiva l’ha avuta, dal rapporto scuola-studenti in un momento grave, all’impulso di rinnovamento dato alle scuole, soprattutto a quelle ancora poco abituate alla tecnologia nella didattica. Ha stimolato gli insegnanti a un grande impegno professionale e creativo, quando mancavano indirizzi e linee guida ministeriali. Insomma si è fatto di necessità virtù.
La DAD ha spinto a rivedere la metodologia della lezione e della valutazione, ha aperto una fase di riflessione critica su quello che funzionava poco o male. Si è cercato di raggiungere via via anche gli studenti che, per un motivo per l’altro, in un primo momento non erano stati non coinvolti.

La DDI e l’impulso alla regolamentazione


Nel corso dell’estate 2020, la DAD ha assunto dignità di DDI, vale a dire di didattica digitale integrata “intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento”, rivolta a tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, come modalità didattica complementare, ma destinata anche agli alunni di tutti i gradi di scuola in caso di nuovo lockdown (Linee guida 7/8/2020).
Tutte le istituzioni scolastiche hanno dovuto dotarsi di un Piano scolastico per la didattica digitale integrata, forse anche un po’ troppo burocratico, il quale però dava le direttive su alcuni aspetti fondamentali, dalla strumentazione tecnologica e connettività, all’attenzione verso gli alunni più fragili, al necessario coinvolgimento delle famiglie da informare puntualmente sui contenuti. Infine erano previsti opportuni interventi di formazione del personale per rispondere alle specifiche esigenze degli studenti di ciascuna scuola.

La didattica a distanza: da emergenza a scontro politico


Negli ultimi mesi la scuola “aperta” e “in presenza” è diventata la battaglia della ministra Azzolina e di altre forze politiche. Si doveva riaprire assolutamente giovedì 7 gennaio. Ma, all’interno del governo, ci sono stati forti contrasti con il più cauto ministro della Salute, Speranza, preoccupato per i contagi e deciso a fare prima un monitoraggio del quadro epidemiologico dopo le festività. Anche i governatori delle Regioni, data la situazione, erano poco disposti alle aperture. Alla fine, si è arrivati al Dpcm del 15 gennaio. Le scuole secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione didattica, dal 50% al 75% in presenza, nel periodo dal 16 gennaio al 5 marzo 2021, “fatte salve le diverse disposizioni individuate da singole Regioni”. La rimanente parte dell’attività didattica si svolge a distanza. Nelle aree “rosse”, sono in presenza la scuola dell’infanzia, la primaria e il primo anno della scuola secondaria di primo grado, a distanza tutti gli altri casi.

Tuttavia, la maggior parte delle Regioni, visto che il Dpcm ha dato loro facoltà di ordinanze più restrittive, e visto che dopo le festività si sono trovate quasi tutte in zona arancione o rossa, hanno deciso di prorogare per qualche settimana la Dad al 100% nelle scuole superiori, dove il pendolarismo movimenta un gran numero di studenti.
Immediatamente ogni Regione si è trovata il suo ricorso al Tar, promosso da gruppi di genitori decisi a dare battaglia per la scuola in presenza, considerata una priorità assoluta. Cosicché le scelte definitive, alla fine, sono state dettate dalla giustizia amministrativa, con esiti opposti secondo le Regioni, il che ha irritato non poco i rispettivi Presidenti che reclamano linee certe e unitarie da parte del governo.

E d’improvviso tutti condannano la DAD


In questo contesto, che da emergenza sanitaria è diventato terreno di scontro politico, le dichiarazioni stampa dei vari attori hanno riempito i giornali in un crescendo ideologico, la cui vittima sacrificale è stata la DAD-DDI.
Ecco alcune dichiarazioni. La ministra Azzolina, ferma sostenitrice della scuola in presenza in ogni ordine e grado, ha finito con lo scaricare la didattica a distanza. “Oggi la Dad non può più funzionare -ha detto- c’è un black out della socialità, i ragazzi sono arrabbiati, disorientati e sono preoccupata per il deflagrare della dispersione scolastica”. A darle man forte coordinatore del Cts, Agostino Miozzo: “I nostri ragazzi non possono restare in isolamento. Ci sono molti studi che stanno evidenziando le criticità provocate dalla didattica a distanza: problemi di carattere neuropsicologico, disturbi del comportamento, gravi situazioni depressive, e grave gap di formazione”.

Da ultimo si sono aggiunte le sentenze dei Tar, che talvolta approvano, talvolta bocciano le ordinanze regionali che prorogano di alcune settimane la didattica a distanza. Di solito, la giustizia amministrativa prende in esame l’istruttoria e la motivazione dei provvedimenti impugnati, che devono sempre essere supportati da dati scientifici e attuali. Ma una delle ultime sentenze, quella del Tar Friuli Venezia Giulia, sembra prestare attenzione alle osservazioni dei ricorrenti anche riguardo all’effettiva efficacia della didattica a distanza sull’apprendimento scolastico dei ragazzi. Così, infatti, sta scritto nella conclusione: “Nonostante la limitata durata temporale dell’ordinanza non se ne può tuttavia escludere la portata gravemente dannosa, anche per la salute psico-fisica dei giovani allievi interessati”.

Ma è davvero da buttare la DAD-DDI?


Purtroppo lo scontro politico è andato troppo oltre, arrivando a rigettare la DAD come dannosa, perdendo così quella serena oggettività di giudizio che bisognerebbe sempre mantenere quando si parla di scuola. Non dimentichiamo che la didattica a distanza ha salvato non soltanto lo scorso anno scolastico, ma anche i Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento del corrente anno scolastico, che sono stati svolti soprattutto distanza.
I Pcto sono uno dei requisiti per l’ammissione all’esame di stato e oggetto del colloquio, ma la difficoltà di un’organizzazione in presenza, nel pieno rispetto delle prescrizioni sanitarie e di sicurezza, ha moltiplicato i progetti digitali, spesso proposti dalle associazioni di categoria, disposte ad investire in attività ben strutturate e innovative, in grado di sviluppare competenze certificabili e di dare continuità alle esperienze specialistiche di migliaia di studenti degli ultimi tre anni della secondaria di secondo grado.
Dunque va bene dire che la scuola in presenza è una priorità, ma evitiamo prudentemente di buttare via il bambino con l’acqua sporca.

Anna Maria Bellesia

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