Torna di attualità il Manifesto per la nuova Scuola promosso dai docenti riuniti nel gruppo ‘La nostra scuola’: il documento, pubblicato da alcune settimane, ha avuto nelle ultime ore il consenso della Gilda degli Insegnanti, che ne condivide ampiamente i contenuti aderendo alla raccolta firme e invitando tutti i cittadini a partecipare.
“Ognuno degli otto punti in cui si sviluppa la petizione – spiega il coordinatore nazionale Rino Di Meglio – rispecchia i valori e le istanze che contraddistinguono la nostra visione della scuola pubblica statale, a partire dalla considerazione secondo cui deve essere incentrata sulla conoscenza e sulla trasmissione del sapere per poter svolgere pienamente il compito che la Costituzione le affida”.
Secondo il sindacalista è “ampiamente condivisibile anche la denuncia relativa al mancato coinvolgimento degli insegnanti nelle riforme degli ultimi venti anni, un aspetto che la Gilda ha sempre criticato ogni volta che i governi di turno hanno voluto lasciare il loro segno, spesso non positivo, nel sistema scolastico”.
Di Meglio è anche d’accordo nel “definire fallimentare la riforma ‘all’italiana’ dell’autonomia scolastica che ha fatto scivolare la scuola verso un modello aziendalista, dando sempre più rilievo alle incombenze burocratiche che gravano sui docenti togliendo loro il tempo per dedicarsi all’attività didattica”.
“Nostra anche la battaglia per la diminuzione del numero di allievi per classe che, date le condizioni attuali con casi di 30 alunni, deve avvicinarsi al massimo quota 20″, conclude il leader della Gilda ribadendo quindi il no alle classi “pollaio” introdotte con la riforma Tremonti-Gelmini e che nemmeno l’esigenza del distanziamento derivante dal Covid ha soppiantato.
I punti salienti del Manifesto, ricordiamo, sono l’opposizione all’idea “che la scuola possa essere incentrata sulla semplice acquisizione di ‘competenze’”, considerando che non si tratta di un contesto aziendale-lavorativo; la convinzione che, come recita la Costituzione, “la scuola pubblica deve essere incentrata sulla conoscenza e sulla trasmissione del sapere”; “tutti gli strumenti e i metodi dell’insegnamento, compresi quelli legati all’uso delle tecnologie digitali, devono rimanere o ritornare a essere dei semplici mezzi, da utilizzare non a prescindere ma se e quando” è necessario farlo.
I promotori del Manifesto chiedono poi di coinvolgere gli insegnanti nelle “riforme”, al contrario di quello che è stato fatto “negli ultimi vent’anni”, ma anche di assumere e formare gli insegnanti sulla base della “preparazione culturale, conoscenza approfondita e dei contenuti disciplinari acquisiti, perché “solo degli autentici esperti possono trasmettere agli studenti la passione per il sapere e per le singole discipline”; restituire centralità all’ora di lezione, eliminando “ciò che non è apprendimento e insegnamento”, ma facendo venire meno pure “i percorsi di “alternanza scuola-lavoro” (PCTO), da sostituire semmai con stage sensati e non obbligatori, se e quando ne valga la pena, fuori dall’orario scolastico e su decisione dei consigli di classe, come pure bisognerebbe dire basta ai “test INVALSI, che sottraggono settimane di tempo all’attività scolastica senza che se ne siano mai chiariti il senso, la funzione e l’utilità”, oltre che “i progetti non indispensabili (ad eccezione ad esempio della mediazione linguistica e culturale per gli studenti stranieri e dello sportello d’ascolto psicologico), funzionali soltanto ad alimentare un’assurda concorrenza tra istituti”.
Per gli organizzatori, la scuola non è un progettificio: chiedono quindi di farla finita con “il RAV, le programmazioni ipertrofiche e standardizzate e tutti quei documenti in cui la descrizione astratta e burocratica dell’insegnamento prende il posto dell’insegnamento stesso, in una continua e paradossale certificazione del nulla”.
E via anche “i PTOF cervellotici che prendono a pretesto presunte esigenze dei ‘territori’”.
l concetto di fondo è quello dire basta insomma a “tutte le attività burocratiche inutili che sottraggono tempo, attenzione ed energie agli insegnanti, che devono dedicarsi esclusivamente all’insegnamento”.
I fautori dell’iniziativa chiedono quindi di “rivedere l’intero impianto fallimentare dell’autonomia scolastica introdotta al tempo del ministro Berlinguer”, che “da oltre vent’anni a questa parte ha trasformato la Scuola pubblica nazionale, – “organo costituzionale della democrazia”, nelle parole di Calamandrei – in una serie di para-aziende in assurda concorrenza tra loro per la conquista della clientela”.
Bisognerebbe invece, continuano, “restituire alla scuola l’orizzonte pubblico, democratico e nazionale che le è proprio”.
Per gli autori del Manifesto, infine, “occorre fare ciò che tutti annunciano e nessuno realizza: diminuire nettamente il numero di studenti per classe, in modo che gli insegnanti possano davvero dedicare tempo e attenzione alle esigenze di ogni studente, operazione oggi più fattibile grazie ai previsti finanziamenti europei”.
Perché, sostengono, bisogna “mettere fine al paradosso per il quale si chiede agli insegnanti di attuare una didattica personalizzata – richiesta che si risolve in realtà nella proliferazione burocratica e nella richiesta di “certificazioni” di ogni tipo – e contemporaneamente gli si impedisce di farlo, imponendo loro di lavorare in classi sovraffollate in cui sono presenti fino a trenta/trentacinque studenti”.
“Non è un caso che il numero dei partecipanti a un gruppo di discussione, secondo la psicologia dei gruppi, vada limitato a un massimo di quindici, pena l’impossibilità dell’aggregazione e del funzionamento del gruppo stesso; per la scuola, bisogna ribadire almeno che in nessun caso possano essere formate classi con un numero di studenti superiore ai venti”, chiosano i promotori del Manifesto.
L’ultimo attacco è all’idea balsana “che gli strumenti digitali permettano agli insegnanti di seguire un numero ancora maggiore di studenti, magari attraverso la produzione di video da mostrare in lezione asincrona”.
“È vero – sostengono – esattamente il contrario: la ‘didattica a distanza’, largamente inefficace con le persone in crescita, visto che per bambini e adolescenti non esiste apprendimento che non passi per la relazione e per continui feedback verbali e non verbali, richiederebbe semmai un rapporto uno a uno tra studenti e insegnanti”.
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