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Finlandia, ecco perché detiene l’istruzione d’eccellenza

Avere buoni insegnanti, vincitori di concorsi dai quali il 90% dei candidati rimane a bocca asciutta e fortemente preparati attraverso appositi master triennali; mantenere alta la considerazione sociale dei prof, prima ancora dello stipendio, che comunque è decisamente più alto dei nostri; lasciar loro molta autonomia nel decidere i programmi (vincolati solo per alcune materie di base); poter contare su una forma mentis sempre disponibile al cambiamento e a migliorarsi; delegare la gestione del personale scolastico non allo Stato ma direttamente ai Comuni, che per chiamare i supplenti attingono da loro albo cittadino. Sono i cinque punti salienti che in Finlandia hanno fatto salire l’istruzione scolastica in cima al mondo: a toccarli con mano, e a riassumerli in un lungo servizio, pubblicato sull’ultimo numero dell’Espresso, è stata la giornalista Roberta Carlini. Che per l’occasione ha visitato l’istituto Jakomaki di Helsinki. Una scuola dove regna la tecnologia (un portatile a studente, ambienti wi-fi, ecc.), ma prima si guarda alla preparazione. Soprattutto di chi sta dietro alla cattedra. Tanto è vero che “chi vuole diventare insegnante” è colui che “il più delle volte ha avuto un buon insegnante”.
In base al resoconto, la ricetta vincente della Finlandia è fatta di “molte ricerche e di un progetto ad alto tasso di tecnologie: che non vuole dire – si legge nell’articolo – mettere computer e lavagna elettroniche in classe, ma saperli usare per riorganizzare l’interno ambiente scuola”. Certo, grazie al fatto che il Paese nordico ospita la stessa popolazione del Lazio rimane tutto più facile: gestire 500 mila studenti non è proprio come organizzare la formazione ad 8 milioni.
Tanto squilibrio di domanda non può però giustificare il gap abissale di offerta: in Finlandia “l’istruzione resta gratis – racconta Carlini – con i connessi servizi fino a tutta l’università. “Tasse? Rette? No, niente di tutto ciò. Gli studenti non pagano finché non escono da qui. Con laurea o Phd”, dice una docente universitaria. E più soddisfatti sono sicuramente anche i prof, visto che guadagnano in media oltre 30.000 euro l’anno e svolgono un mestiere che qualora volessero lasciare gli permetterebbe di trovare impieghi alternativi, sempre nel campo dell’educazione e della formazione: lo stipendio peraltro non è nemmeno altissimo (anche da noi si attesta attorno ai 23-24.000 euro), se si considera il tenore di vita del Paese. Ma quel che sorprende di più in assoluto è che alla resa dei conti l’impegno economico procapite per studente che lo Stato affronta è minore del nostro; senza contare che in Italia le famiglie si devono pagare, a differenza della Finlandia, spesso tutti i libri, la mensa ed il Governo non sovvenziona di certo “l’apparecchio per i denti”. Il risultato, incredibile ma vero, è che da noi si spendono in media 8.243 euro a studente, contro gli 8.048 della Finlandia.   
Non è però solo una questione di soldi. La differenza, rispetto non solo all’Italia ma al resto del mondo, la fa l’organizzazione. Sempre proiettata al futuro. Un esempio? Dopo anni di sperimentazioni in Finlandia si è deciso di far frequentare in un unico istituto gli alunni dai 7 ai 16 anni: un modo intelligente per integrare ma soprattutto per sviluppare l’autonomia. Oltre che le conoscenze, competenze e capacità, visto che agli ultimi test Ocse-Pisa i 15enni finlandesi hanno svettato in tutte e tre le prove base: lettura, matematica e scienze. Le scuole sono poi il “centro della comunità”: anche se gli studenti fanno sulla carta poche ore obbligatorie (600 annue contro le oltre 1.000 dei nostri), in realtà tornano spesso il pomeriggio, fino a sera, tornano in classi ed aule magne per svolgere le attività più svariate. A volte anche con la famiglia. Come è lontana la Finlandia…
Alessandro Giuliani

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