Forse è stato uno dei migliori ministri dell’Istruzione degli ultimi 20 anni e, nonostante la sua breve amministrazione,dal 5 settembre 2019 al 25 dicembre 2019, ha dato segnali di passione e di impegno per risolvere i tanti problemi della scuola. Lorenzo Fioramonti, come aveva promosso: in mancanza di stanziamenti di almeno 3 miliardi per scuola e ricerca si sarebbe dimesso, ha mantenuto la promessa e ha tolto il disturbo.
Più della poltrona poté la parola data, più del prestigio l’impegno assunto coi professori e solo per questa rarissima coerenza merita apprezzamento. Ma non solo. È stato l’unico ministro che ha accolto, senza fumose scuse, di rispondere direttamente, tramite il portale della Tecnica della Scuola, alle migliaia di domande poste dai docenti, mentre ha lasciato, non solo che ogni Istituto facesse giusto uso dell’autonomia in materia di scelte religiose, a cominciare dal crocefisso nelle aule e dell’allestimento del presepe, ma ha anche fatto sua la grave carenza di personale per un verso e la soluzione definitiva del macigno del precariato per l’altro.
Lo abbiamo spesso sentito martellare sulla cronica ormai pericolosità delle tante scuole, mal costruite e mal disposte nel territorio, puntando a richiedere molti più fondi, come aveva annunciato a Trieste pochi giorni fa: «La scuola in questo Paese avrebbe bisogno di 24 miliardi. I 3 miliardi che io ho individuato, non sono la sufficienza» ma rappresentano «la linea di galleggiamento».
Ma aveva pure dichiarato: “La scuola come modello di sviluppo. La scuola ha un senso se accoglie chiunque e lo rende competente, se riattiva un ascensore sociale in Italia da tempo troppo fermo”.
Contrariamente a qualche altro ministro che sui prof era stato severo, attribuendo responsabilità non loro, Fioramanti in tante occasioni ha ribadito che i docenti sono “eroi civili” e sui quali “manca sempre più rispetto”.
Ma ha pure reintrodotto, perché il precedente ministro con singolare decisione l’aveva fatta fuori, lo storia nelle tracce dell’Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo, dichiarando: “Mi piacerebbero tracce che uscissero da eventi epocali e facessero riflettere sulla storia di tutti i giorni, su come le generazioni del passato si sono trovate ad affrontare questioni quotidiane”.
Se non si fosse dimesso, e dunque se fosse ancora uomo delle istituzione e ancora potente, sicuramente non avremmo scritto dei suoi meriti, ricercando invece i punti bui, quelli di debolezza, come ci sembra giusto per spronare chi ha i mano i destini della scuola a fare sempre di meglio e di più.
Apprezzandone invece la coerenza, abbiamo voluto ricordare che a conti fatti è stato un buon ministro, sebbene con una esperienza troppo breve per dare giudizi più compiti. Ma in “questo breve” ha lasciato una traccia alquanto significativa.
Ora attendiamo di sapere chi lo sostituirà.
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