Gli italiani? Ignoranti. Non leggono, se leggono non comprendono, non sanno far di conto e quelli del Sud peggio di quelli del Nord.
Varie fonti lo certificano, dal Rapporto Censis all’indagine sulle competenze degli adulti (Survey of Adult Skills), realizzata nell’ambito del programma Ocse sulla valutazione internazionale delle competenze degli adulti.
Lo sapevamo in qualche modo, si legge sul sito della Flc-Cgil, e da anni, tanto che il compianto ministro dell’Istruzione Tullio De Mauro suggeriva, per superare tanta ignoranza, un sistema per l’apprendimento permanente di cui lo Stato si facesse carico.
Come per esempio, incentivando l’Istruzione per adulti, nel cui ambito sono stati istituiti i Cpia e che non devono rappresentare solo un modo per acquisire un titolo di studio da parte sia delle persone che ne sono sprovvisti, sia da parte degli adulti immigrati che necessitano delle certificazioni linguistiche e di formazione civica di base per chiedere il permesso di lungo soggiorno, sia per coloro che, avendo compiuto 16 anni, vengono accettati nei corsi serali con la quasi certezza del diploma.
Ma in ogni caso, ribadisce la Flc-Cgil, i Cpia “esistenti sono una realtà quantitativamente risibile se raffrontata al bisogno”, mentre “andrebbero posti al centro di un’attenzione ben più grande e quindi moltiplicati, rinnovati, resi una presenza capillare, efficace e riconosciuta in grado di interloquire autorevolmente ed efficacemente con gli altri segmenti del sistema dell’istruzione e con le realtà istituzionali e socio-economiche dei territori per dar vita a reti territoriali per l’apprendimento permanente”.
Istituire insomma, per sconfiggere questa certificata ignoranza, politiche di “segno inclusivo, democratico, di qualificazione e sviluppo, al contrario di ciò che sembra andar per la maggiore e dove ci sta portando chi governa”.
D’altra parte, dicono i dati, “per quanto riguarda il sistema scolastico, non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano: il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80,0%), e così per il 5,8% il ‘culturista’ è una ‘persona di cultura’”.
“In matematica: il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie e il 47,5% alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81,0%). Il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), per il 32,4% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo, per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore delle cantiche della Divina Commedia”.
E ancora, “mentre si discute di egemonia culturale, per molti italiani si pone invece il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire. In più il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma).”
Inoltre, “il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato” e “il 38,3% si sente minacciato da chi vuole facilitare l’ingresso nel Paese dei migranti”.Specifica il rapporto: “negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. La sindrome italiana nasconde non poche insidie. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale”.
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