Come dovrebbe essere la scuola dopo il Pnrr e quale dovrebbe essere il ruolo degli insegnanti?
A queste domande risponde Edoardo Fleischner, docente di Nuovi media e comunicazione all’Università Statale di Milano e di Scrittura crossmediale al Politecnico della Cultura di Milano, intervistato da HuffPost
“Dopo duecento anni passati a leggere, scrivere e far di conto, il punto cruciale per l’innovazione della scuola non sono i mezzi, ma i programmi da rifare, docenti da formare nuovamente alla complessità, che costituisce una materia di studio perché il mondo è complesso. Conta poi l’interdisciplinarità: insegnare geografia, ad esempio, immergendola nella sociologia o nell’economia. Perché ‘Scuola 4.0’ deve significare innanzitutto esplorare le conoscenze in tutte le loro dimensioni. Ed è importante ‘l’autodidattica’, che poi è la maieutica: l’insegnante, come nella Grecia antica, dovrà fare da levatrice di menti, sollecitando sempre più i ragazzi alla partecipazione attiva”.
Partire dunque dagli insegnanti, precisa Fleischner, “Sono il bandolo della matassa”, mentre bisogna ripartire dalla ‘Wikiclasse’ dove si è tutti ‘autodidatti’. “L’aula si chiama sala riunioni, la lezione si chiama riunione di lavoro, l’esame si chiama fine lavori, il voto si chiama bilancio, la scuola si chiama sede, il professore si chiama consulente. Dico sempre ai miei studenti: “Invece di prof chiamatemi cons”. Questo per dire che ognuno porta alla classe la propria piccola fetta di conoscenza e la condivide coi colleghi: per esempio, se c’è qualcuno che non sa usare la videocamera imparerà a farlo grazie all’aiuto del collega più bravo. Tutti gli studenti possono insegnare qualcosa e darsi da fare per creare il corso stesso. Nel Rinascimento, avevamo la bottega. Il maestro formava allievi che diventavano più bravi di lui. Così, per secoli, abbiamo avuto ogni generazione che era migliore dell’altra. Ai docenti dico: ‘Fate bottega’”.
“I ragazzi- continua Fleischner- quando iniziano la scuola media inferiore, hanno già visto 10-15 mila ore di video. All’università, ne hanno viste più del doppio: è come se avessero letto migliaia di libri. Chi avrà letto, a 18 anni, 4 mila libri, saprà scrivere alla perfezione. Se avrà visto migliaia di video, saprà ‘scrivere’ benissimo in video. Quando uso questi strumenti non è per alzare il livello di coinvolgimento degli studenti con elementi di divertimento, ma perché sono utili, perché hanno elementi interattivi non rintracciabili altrove. Poniamo il caso di avere a disposizione una ricostruzione virtuale del Foro Romano: se la uso per insegnare Storia Romana e aggiungo un gioco di ruolo in cui ogni componente della classe interpreta un personaggio, allora l’esperienza diventa eccezionale. Lo stesso vale per i social media: i ragazzi li usano non solo perché li trovano divertenti, ma anche perché sono utili a fare rete. Nessuno strumento è neutro, ovviamente ci sono anche lati negativi, ma se vengono usati correttamente rivelano una grandissima utilità.”
Dunque il nodo del cambiamento proposto sarebbero i prof coi cui, dichiara Fleischner, si è confrontato, notando che “si dividono in due categorie. Ci sono quelli convinti che la tecnologia sia la distruzione della scuola: non parlo di didattica a distanza, ma proprio di mezzi. In sintesi: “Non so usarli, e quindi li odio”. Altri insegnanti, invece, hanno imparato a usare alla perfezione questi strumenti, comprendendone l’utilità. Bisogna partire dal presupposto che, al di là del percorso scolastico, l’apprendimento di ognuno di noi è un percorso che dura tutta la vita, anche fuori dalle aule. Oggi si chiama lifelong learning, ma è un concetto che esiste fin dall’Antica Grecia. Aver terminato gli studi non può essere una scusa per non aggiornarsi. Oggi le tecnologie incombono, ma incombono perché non le sappiamo usare. Non è vero che i giovani sono più tecnologici: sono spesso solo smanettoni. Tutti possono imparare.”