Ha il tono di una “proposta indecente” lo scambio prospettato dal ministro Profumo agli insegnanti: in cambio di più ferie, più ore d’insegnamento, in classi che interventi precedenti hanno reso più affollate e meno governabili, in scuole sempre più carenti di risorse materiali e professionali, in ulteriore degrado per l’effetto prolungato dei tagli decisi dal governo Berlusconi.
Che dire? Con l’ormai consueto ricorso a un agile decreto legge il ministro interverrebbe su una delle questioni più intricate dell’intero sistema scolastico, carica di equivoci e luoghi comuni che continuano ad essere sottesi alla professione docente. Ci permettiamo qualche considerazione.
Innanzitutto: già oggi che risultati otterrebbe un insegnante di liceo che lavorasse davvero solo 18 ore la settimana? Che uscisse dall’aula, al termine delle lezioni, per occuparsi d’altro e solo il giorno seguente tornasse a occuparsi delle sue classi e delle sue materie d’insegnamento? Certamente otterrà risultati molto mediocri se non programma i suoi interventi , non prepara le lezioni, non riflette e non modula la didattica, non si occupa delle verifiche, non dialoga con gli studenti e le famiglie, non dedica tempo al suo aggiornamento?
Ce ne sono di insegnanti così? Sì, certo, ogni scuola vanta un’ampia panoramica di modelli professionali compresi quelli “a ore zero” oltre le prestazioni frontali improvvisate o ripetute per inerzia da decenni. Ma non è livellando al basso che si dà qualità alla scuola e la valutazione di cui tanto si parla dovrebbe essere attenta proprio a coloro che sfoggiano un ruolo docente minimale, più che preoccuparsi di distribuire ricchi premi e cotillons ai bravi e meritevoli.
Ma è sicuro che l’orario di lavoro degli insegnanti riguarda solo le ore frontali? Da tempo i contratti hanno definito gli obblighi di servizio e collocato accanto all’orario di cattedra una serie di prestazioni che non possono essere considerate un optional non vincolante, anche se in molti casi vengono interpretate in termini burocratici e non determinano la qualità effettiva della scuola.
Con questo ampliamento dell’orario frontale non si fa emergere il sommerso come affermano coloro che lo presentano come una regolarizzazione dell’esistente perché al Ministero lo sanno bene che gli insegnanti lavorano ben più di 18 ore settimanali. Incrementare l’orario frontale con l’aggiunta di altre classi significa aumentare smisuratamente il carico di altro sommerso a scapito della qualità delle prestazioni. E, in cambio, quali ferie verranno concesse? E’ un ritorno ai bei tempi in cui si poteva disporre dell’intera estate libera, magari per occuparsi dei figli, cosa che ha favorito la femminilizzazione della professione e consolidato nell’opinione pubblica l’idea che se anche non si guadagna tanto, a fare l’insegnante, ci sono tutti i vantaggi di un lavoro part-time?
Il ministro rileva che gli insegnanti di scuola primaria fanno già 24 ore settimanali, quindi sarebbe solo un’equiparazione. Ma allora intende anche equiparare gli stipendi dei maestri a quelli dei professori ? Sarebbe doveroso perché attualmente questi sono inferiori in omaggio allo stereotipo superato per cui è più facile insegnare ai bambini che ai ragazzi?
Nè ci conforta sapere che le risorse economiche risparmiate saranno in parte devolute alla formazione in servizio degli insegnanti che richiede interventi strutturali. In ogni caso questa impostazione del problema si colloca senza equivoci in una prospettiva di rafforzamento dell’impiegatizzazione di una professione estremamente delicata cui la società affida la formazione culturale e civica delle giovani generazioni. E’ vero che ancora è solo un’ipotesi, ma dati i precedenti non è male cominciare a preoccuparsi.
Gigliola Corduas