Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ha fornito una prima sintesi dei risultati della ricerca “La DaD nell’anno scolastico 2020-21: una fotografia”, realizzata insieme al Centro Studi Crenos e al Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Cagliari.
La rilevazione ha riguardato un campione rappresentativo di 123 scuole secondarie di II grado, statali e paritarie, in tutta Italia. In ogni istituto sono stati proposti questionari a studenti (del III e V anno), docenti e dirigenti scolastici, raccogliendo complessivamente le risposte di 105 dirigenti scolastici, 3.905 docenti, 11.154 studenti.
La domanda di fondo comunque era: la Dad, uscita ormai dalla prima fase di emergenza quando le si perdonavano tutte le carenze, è davvero in grado di portare avanti le lezioni scolastiche in maniera efficace?
“In attesa di sapere se e quanto gli apprendimenti in Dad ne abbiano sofferto, la ricerca che presentiamo ci dice, fra le tante informazioni, che nella pratica quotidiana della Didattica a Distanza non c’è stato alcun significativo cambiamento metodologico e organizzativo rispetto a prima della pandemia. Quasi tutte le scuole superiori italiane hanno riproposto online e in sincrono la tradizionale didattica basata su lezione frontale, compiti a casa e verifiche, senza un ripensamento dei tempi, delle attività e degli strumenti, che tenesse conto della differenza di fare scuola in classe o a distanza. E senza un vero sforzo di sperimentare strategie per valorizzare di più autonomia e protagonismo dei ragazzi. Ciò forse può in parte spiegare perché gli studenti rivelino la loro fatica a seguire le lezioni in DaD, a tenere alte motivazione e attenzione, a interagire positivamente con professori e compagni, difficoltà tipiche dell’apprendimento da remoto”.
Degna di nota è anche la dissonanza fra docenti e dirigenti scolastici a proposito delle competenze in possesso dei primi per svolgere le attività di didattica a distanza. Mentre l’85% dei docenti dichiara di avere competenze più che sufficienti o del tutto adeguate per le esigenze didattiche richieste dalla DaD, i dirigenti scolastici sembrano porre l’accento assai più sui bisogni formativi dei propri professori ancora da colmare.
“Da questo punto di vista – sottolinea Adriana Di Liberto (Centro Crenos – UniCa) – l’indagine rivela che la formazione dei docenti è stata svolta soprattutto per migliorare le competenze nell’uso delle piattaforme informatiche, ma molto meno per sviluppare competenze relative alle metodologie didattiche e di valutazione specifiche per un contesto dad. Inoltre, la formazione è stata effettuata perlopiù con risorse interne, con il probabile risultato che si sia operato in modo più efficace laddove le condizioni di partenza erano già migliori che altrove. Vi è quindi il rischio che anche il modo in cui è stata impostata e gestita l’organizzazione della dad nelle scuole superiori Italiane possa influire negativamente sulle già troppo ampie disuguaglianze educative del nostro Paese”.
Il 91% degli studenti dichiara di avere trascorso tra le 5 e le 6 ore al giorno collegato in video per attività in sincrono, dato confermato da un’analoga percentuale di dirigenti scolastici, secondo i quali il monte ore non è cambiato o ha visto eventualmente una riduzione proporzionale in tutte le materie.
Secondo i DS, solo l’8% delle scuole ha operato una ristrutturazione significativa del quadro orario, con maggiore spazio alle materie fondamentali o caratterizzanti dell’indirizzo.
Se il quadro orario non è cambiato, lo stesso può dirsi per l’impianto didattico tradizionale, che è stato riproposto in DaD.
Per 9 studenti su 10, lezioni in video, verifiche e compiti a casa sono state le uniche attività proposte da tutti i docenti, senza particolare differenza tra le materie.
Solo in un caso su 3 sono state proposte anche attività di ricerca che gli studenti potevano svolgere in autonomia e/o in gruppo, mentre in meno di 1 caso su 5 sono state sperimentate le più innovative piattaforme digitali che propongono giochi didattici, app ed esercizi interattivi per personalizzare i percorsi di apprendimento.
In base a quanto emerge, infatti, la scuola online ha semplicemente replicato gli schemi della lezione frontale in presenza. La maggior parte degli studenti denuncia infatti un maggiore senso di affaticamento (65%) dopo una giornata di scuola in dad e una maggiore difficoltà a mantenere l’attenzione (73%).
Le conseguenze potrebbero essere evidenti anche dal punto di vista degli apprendimenti: gli studenti dichiarano di avere affrontato verifiche e interrogazioni in dad con minore ansia rispetto a quelle in presenza e con un rendimento migliore. Il segreto di questo successo, per 7 ragazzi su 10, dipende dal fatto che in dad è relativamente più facile suggerire o copiare.
È il caso delle attività laboratoriali degli istituti tecnici e professionali per i quali le indicazioni ministeriali consentivano l’offerta in presenza. Tuttavia più di 2 docenti su 3 si sono astenuti dal proporre attività laboratoriali, non per timore dell’opposizione di studenti e genitori, ma per una propria valutazione di opportunità dato il rischio pandemico.
Risultato? La pesantezze delle lezioni, difficili da seguire a distanza.
In questo quadro, due ragazzi su 3 assicurano che i loro voti non sono cambiati rispetto a quelli che avrebbero ricevuto in presenza, ma solo il 57% risponde di avere imparato più o meno quanto avrebbe fatto a scuola.
Una percentuale che scende ancora di più, al 46%, per gli studenti che non hanno grande fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità di apprendimento (bassa percezione di autoefficacia). Sono gli stessi studenti quindi a pensare che la dad abbia penalizzato in particolare chi tra loro aveva già fragilità dal punto di vista scolastico.
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