Si poteva, infatti, temere che il concorso ordinario – indetto nel 2012 dal ministro Profumo, il primo da 13 anni – avesse come esito di penalizzare gravemente le leve più giovani di insegnanti. Di fatto, per la volontà politica che ne era all’origine (accelerare l’ingresso in ruolo di insegnanti precari, che – come sappiamo – hanno un’età media già elevata, intorno ai 40 anni) e per come ne erano definite le procedure di ammissione e delle prove, il concorso non favoriva i più giovani. Non ci aveva, perciò, sorpreso apprendere lo scorso dicembre che fra gli oltre 325mila candidati ai nastri di partenza il 65% avesse più di 35 anni.
Perciò i primi dati sugli esiti finali del concorso, comunicati qualche giorno fa dl Miur e non ancora del tutto completi, sono un po’ inattesi.
La percentuale dei vincitori con meno di 35 anni è molto più alta di quella di partenza, sfiorando il 50% (sono 4065 su 8303). Addirittura il 10% ha meno di 30 anni: in numeri assoluti, questi ultimi sono un piccolo drappello (795), ma se si pensa che nella scuola italiana negli ultimi anni la quota di under 30 era intorno all’1%, il segnale è comunque incoraggiante. Così come è incoraggiante apprendere che in prove concorsuali ritenute severe e rigorose i candidati più giovani siano risultati mediamente più preparati, risultando vincitori in una percentuale nettamente superiore alla partecipazione.
È solo un segnale o poco più, ma vale la pena accoglierlo con soddisfazione, sperando che l’obiettivo di un ringiovanimento del corpo docente italiano d’ora in avanti venga perseguito con maggiore attenzione e determinazione, come minimo allargando il panorama dei candidati potenziali dei prossimi concorsi anche ai neolaureati con abilitazione via TFA (in questo concorso la grande maggioranza proveniva dalle Graduatorie ad esaurimento).
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