Sulla dispersione scolastica niente allarmismi, ma esiste l’esigenza di venire in possesso sugli esiti formativi dee tanti giovani che ogni anno si iscrivono ai corsi di formazione professionale: a sostenerlo è la Fondazione Agnelli, dopo che nei giorni scorsi aveva spiegato che ancora oggi “il 28-30% la percentuale di coloro tra i 18 e i 23 anni che non concludono la secondaria superiore”.
Ora, però, è arrivata la sottolineatura: “purtroppo – fa sapere la Fondazione Agnelli – , il clamoroso ritardo nella realizzazione di molte anagrafi regionali e nella loro integrazione con quella del MIUR impedisce oggi di avere quei dati che sarebbero necessari per politiche nazionali e locali di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica”.
Che ha poi confermato il dato ufficiale emesso “dall’Unione Europea (Eurostat): ammontava nel 2013 al 17%, riferendosi a quei giovani fra i 18 e i 24 anni che si sono fermati al titolo di terza media e risultano fuori da qualsiasi percorso formativo”.
Secondo la Fondazione Agnelli, qualsiasi riflessione su come prevenire e contrastare la dispersione scolastica deve comunque “partire da questo dato, che è la spia di un fenomeno in ogni caso estremamente grave e preoccupante per il nostro Paese e – nonostante i miglioramenti degli ultimi anni – resta 7 punti sopra l’obiettivo europeo del 10% e anche sopra l’obiettivo redeclinato per l’Italia al 15%”.
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E ancora: “la comprensione e la stima del fenomeno della dispersione scolastica in Italia non possono prescindere dalla considerazione degli esiti dei percorsi di formazione professionale regionale e questo è un punto decisamente problematico. Per avere, infatti, un’idea più precisa di quanti siano e quale profilo abbiano i ragazzi e le ragazze che si trovano maggiormente a rischio di abbandono sarebbe cruciale avere informazioni affidabili su:
(i) quanti studenti usciti dal percorso di istruzione secondaria (dopo la terza media o nei primi anni di superiori) transitano alla formazione professionale regionale;
(ii) quanti di costoro portano a termine tale percorso, che – a differenza di altri paesi europei – è comunque più breve rispetto a quello dell’istruzione secondaria e non dà accesso all’università;
(iii) quali competenze abbiano effettivamente acquisito questi ragazzi e se siano tali da consentire un dignitoso inserimento nel mondo del lavoro e un ruolo attivo nella società (un interrogativo che, peraltro, andrebbe esteso anche a molti studenti che raggiungono il diploma di maturità, ma le cui competenze risultano inadeguate, secondo le rilevazioni internazionali)”.
Insomma, su circa il 10% di studenti a rischio occorrono altre informazioni. Quelle che i Centri di formazione professionale dovrebbero fornire in tempi rapidi.
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