Si è svolto oggi, lunedì 18 novembre, presso la Sala della Regina di Montecitorio, la “Presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin” in collegamento con il Parlamento Europeo e le scuole italiane. Ad intervenire il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara e la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella.
Presenti anche il presidente della Fondazione, il padre di Giulia, Gino Cecchettin, la vicepresidente, Anna Maria Tarantola, la rettrice dell’università degli studi di Padova, Daniela Mapelli, ill prefetto Maria Luisa Pellizzari, la consigliera della Fondazione, la campionessa di nuoto Federica Pellegrini, la docente di pedagogia di genere università degli studi di Firenze, Irene Biemmi, il presidente dell’associazione Maschile plurale, Stefano Ciccone, e la prorettrice alle politiche di equità e diversità università degli studi di Trento, Barbara Poggio.
Ecco le parole di Gino Cecchettin: “Siamo qui per dar forma concreta ad un sogno che ha un valore immenso che viene da una tragedia immane. A volte quando si affrontano sofferenze la vita ti sorprende offrendoti uno scopo nuovo. Sono qui per parlarvi di uno scopo. La Fondazione è un impegno che richiede il coinvolgimento di tutti per il benessere della società e il futuro delle nuove generazioni.”.
“In questa società tutto scorre, siamo connessi ma avvertiamo di essere tutti chiusi in noi stessi. La velocità ci allontana da quello che conta veramente. Possiamo costruire progetti completi in una cultura intrisa di indifferenza. Dobbiamo proporre modelli di relazione”.
“La morte ti fa comprendere che la vita è un soffio, non c’è tempo di recupere. Siamo in un’eterna rincorsa. Migliaia di donne vittime di violenza soffrono. Sono numeri inimmaginabili. Come possiamo restare impassibili? Non possiamo più pensare che il silenzio sia la soluzione. La Fondazione vuole dare voce a chi non può più urlare, a chi vive nella paura. A volte possono bastare le parole, un segno di speranza. Concentrarsi su sentimenti positivi aiuta”.
“Rancore e risentimento non aiutano. Ho scoperto un nuovo modo di vivere. Non ho provato rabbia verso il carnefice di mio figlio. La sera dell’udienza ho riflettuto sul nostro mondo come un ecosistema in cui ognuno può iniettare odio o amore. Possiamo cambiare la reazione agli eventi, decidendo di iniettare odio o amore. Io scelgo di far crescere l’amore, è l’unica scelta che le assomiglia. Noi dovremmo cercare di produrre empatia, amore. Invito a dare valore a ciò che conta davvero, ai sentimenti che ci aiutano a rimanere umani. Essere qui vuol dire abbracciare la volontà di cambiare. Non possiamo più voltare le spalle a chi sta peggio di noi. La Fondazione ha il compito ambizioso di educare per produrre un cambiamento e produrre un cambiamento. Empatia, rispetto, amore: sono fondamenti di una società. La violenza di genere è un fenomeno collettivo. Dobbiamo essere protagonisti di una trasformazione culturale e sociale. Il compito richiede impegno, non si tratta di quello che faremo ma di quello che tutti noi possiamo fare. Dobbiamo promuovere relazioni basate sull’ascolto. Ognuno di noi può fare la differenza”.
“Non sarà semplice, ma ogni gesto sarà un mattone. Vi chiedo di unirvi come attori di questo cambiamento per offrire un futuro migliore alle generazioni che verranno”.
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