Lo scorso 24 giugno — come la nostra testata ha prontamente riportato — il Ministero dell’Istruzione e del Merito annuncia sul proprio sito web, con ufficiale entusiasmo, la presentazione Milano della “Fondazione per la Scuola Italiana”. L’evento è stato poi aspramente criticato il 6 luglio sul sito dell’agenzia internazionale di stampa Pressenza in un articolo del filosofo e docente Michele Lucivero, Dottore di ricerca in Etica e antropologia e collaboratore dell’Università del Salento. L’articolo è stato poi pubblicato anche sulla rivista online ROARS e ripreso da altri siti web.
A parte questo articolo, però, quasi tutti gli organi d’informazione si sono limitati a riportare o parafrasare il comunicato ufficiale del ministero, senza porsi nessuna domanda.
Prima domanda (che noi ci poniamo): perché un ministero dello Stato — il ministero che gestisce la Scuola — esulta per la fondazione di un ente privato? Vero è che la “Fondazione per la Scuola Italiana” promette soldi (ancorché pochi): il ministero annuncia che «Entro il 2029, la Fondazione aspira a raccogliere 50 milioni di euro da aziende, privati e bandi». Probabilmente vero è pure che «In Italia gli investimenti dei privati nella scuola sono solo lo 0,5% delle spese totali rispetto alla media OCSE del 2%».
Non è però forse altrettanto vero che il nuovo “ente no-profit”, sarà «interamente finanziato da privati» non per puro filantropico amore per cultura e Scuola, né per risolvere gli innumerevoli problemi di quest’ultima?
Vogliamo ricordarli, questi annosi problemi: vetustà e pericolosità degli edifici; eccessivo numero di alunni per classe; precariato ormai di massa di insegnanti ed ATA (tenuto in vita e gonfiato dalla volontà di risparmiare sui diritti di questi importantissimi professionisti e lavoratori); burocratizzazione della professione docente, sottoposta al crescente dirigismo ed autoritarismo ministeriale attraverso aziendalizzazione, gerarchizzazione forzata ed ininterrotta pioggia di indicazioni ministeriali sull’insegnamento e sui metodi didattici da adottare; stipendi vergognosamente bassi per un Paese che ambisca a definirsi civile; accorpamento di migliaia di scuole, fino a creare istituzioni scolastiche di dimensioni abnormi, difficilmente gestibili dallo scarso personale a disposizione; inesorabile taglio di cattedre e personale di segreteria (che procede da 40 anni); ingravescente dispersione scolastica; eccessivi poteri affidati dalla Legge 107/2015 (la renziana “buona Scuola”) ai dirigenti scolastici.
In 40 anni questi problemi sono andati aggravandosi: il loro incancrenirsi non è forse una precisa e trasversale volontà politica (comune a tutti gli esecutivi succedutisi)? La Scuola, istituzione prevista dalla Costituzione del 1948 come organo vitale per la democrazia, non deve forse esser finanziata esclusivamente dallo Stato, per impedire che privati finanziatori — specialmente se vicini al complesso militare-industriale — chiedano in cambio la trasformazione di questa istituzione in qualcosa di più confacente ai loro interessi?
Complesso militare-industriale, dicevamo: espressione usata nel gennaio 1961 dal presidente USA Dwight Eisenhower (ex generale, eroe della Seconda Guerra Mondiale nella lotta al nazismo, nonché primo comandante in capo della NATO) in un discorso televisivo, per avvertire gli americani della sua esistenza e dei rischi da esso derivanti per la democrazia.
Vediamo chi sono le società private delle cui “sinergie” e “contributi” — parole del MIM — la “Fondazione per la Scuola Italiana” è “frutto”: UniCredit, gruppo bancario internazionale; Banco BPM S.p.A., gruppo bancario italiano; Enel Italia S.p.A., azienda italiana per energia, gas, elettricità; Leonardo S.p.A., colosso italiano specializzato in sicurezza, difesa (in una parola: armamenti da guerra), prima azienda di armi nell’Unione Europea e dodicesima nel mondo, che ha assorbito le industrie di armamenti ad alta tecnologia Wass, Selex ES, Aermacchi, AgustaWestland, OTO Melara edAlenia); Autostrade per l’Italia S.p.A..
Quest’ultima, concessionaria delle tratte autostradali italiane — come rivelato anche dalla trasmissione Report di Rai3 — è posseduta per l’88,06% dalla Holding Reti Autostradali S.p.A.; la quale appartiene sì allo Stato tramite Cassa Depositi e Prestiti, ma solo per il 51%: metà del restante 49% è di Macquarie Asset Management (banca d’investimenti australiana) e di Blackstone Infrastructure Partners (società finanziaria USA tra le maggiori del pianeta, capace di gestire un patrimonio di mille miliardi di dollari, nonché azionaria di varie multinazionali importanti).
Dalle notizie disponibili in rete non sembra che le insigni (e certo stimabili) personalità, citate dal ministero quali membri della “Fondazione per la Scuola Italiana”, siano specialisti di pedagogia, docimologia e didattica della Scuola primaria e secondaria. Il Presidente Stefano Simontacchi, persona coltissima e molto preparata, è commercialista, economista, esperto di fiscalità, docente universitario, membro dei consigli di amministrazione di Assoedilizia, Cordusio Sim, Fattorie Osella (industria casearia), Istituto Leone XIII, Prada, ISPI, Rcs MediaGroup. Gli altri, pur rispettabili ed eminenti studiosi, son tutti esperti di finanza, economia, giurisprudenza, industria, impresa, azienda, tecnologia. Di pedagogia pare essersi occupato solo Francesco Magni, dottore di ricerca in “Formazione della persona e mercato del lavoro”.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi? Prosegue la ristrutturazione della Scuola italiana sotto l’egida dell’industria e dell’alta finanza, secondo la logica neoliberistica del dogma “privato è bello”? Che ne sarà dei principi costituzionali riguardanti Scuola e istruzione pubblica (articoli 3, 9, 33, 34)?
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