I lettori ci scrivono

Formare giovani con grande cultura e coscienza critica… o no?

Nell’ultima Indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) pubblicata recentemente dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sulle competenze in lettura, matematica e scienze, un quindicenne italiano su cinque non sa leggere. Alle prese con una pagina di giornale o un brano scolastico la sua lettura è incerta, eccessivamente lenta o troppo veloce. E, soprattutto, nel leggere commette diversi errori.

I dati sono inquietanti se pensiamo che oltre alla lettura molti giovani non sono in grado di comprendere quello che leggono.

Questa deriva culturale nasce dalla continua e sciagurata insistenza di voler trasformare una scuola nazionale dei saperi critici in una incentrata su competenze e abilità.

Da almeno vent’anni che il Ministero dell’istruzione ha scelto questa strada, anche l’Associazione Nazionale Presidi vuole una scuola per competenze.

Puntare il dito sui giovani, sugli studenti è troppo semplice, bisognerebbe tutelarli, sono il patrimonio di questa bellissima Nazione.

Cari giovani, vi siete mai chiesto perché il mondo della scuola vi abbia trattato così duramente?

In questi anni tantissimi colleghi hanno lavorato giorno e notte per stilare le tante proposte con l’obiettivo di migliorare la scuola e, puntualmente, i vari Governi di sinistra, di larghe coalizioni, di destra gli hanno sempre sbattuto la porta in faccia gettando nel cestino il grande lavoro prodotto dai veri esperti della scuola.

Si continua ad insistere sulla didattica per competenze.

Ricordo il convegno organizzato a Roma il 13 novembre 2018 dall’Associazione Nazionale Presidi, dove venne presentata la proposta di un nuovo modello didattico. Quello della trasversalità, de “La scuola del futuro al MAXXI – Bellezza, efficacia, sicurezza”, continuare con la scuola delle “competenze” con queste linee guida:

– cancellazione delle materie scolastiche, sì agli argomenti:

la priorità secondo l’ANP è abolire le materie, non più, quindi, Italiano, Matematica, Scienze, Chimica etc. Addio quindi alle discipline per dare spazio agli argomenti.

– cancellazione delle graduatorie permanenti e d’istituto, deve essere il dirigente scolastico a scegliere i supplenti sulla base delle competenze.

Secondo Antonello Giannelli presidente ANP, bisognava abolire le graduatorie per fare in modo che i dirigenti scelgano i propri docenti sulla base delle competenze.

Un’inversione pericolosa, se attuata, che cancellerebbe la scuola pubblica laica statale, lasciando all’autonomia differenziata delle regioni il compito di gestire l’istruzione nazionale come un grande centro professionale.

Pillole di cultura “Borderline” offerti da laureati tuttologi, nominati, gestiti e comandati a bacchetta dai dirigenti scolastici naturalmente a poco prezzo… per ordine dell’Assessorato regionale?

Ricordo alcuni passaggi politici-istituzionali che di fatto hanno minato e ridotto gli obiettivi di apprendimento nelle scuole italiane:

Il Governo Gentiloni (2017) e ovviamente il Ministro dell’istruzione Fedeli non applicarono le tre sentenze esecutive del Tar del Lazio, che chiedevano l’immediato ripristino delle ore di lezione cancellate delle materie di indirizzo, negli istituti tecnici e professionali ma addirittura emanarono due decreti “politici” per annullarle.

La riforma Gelmini-Tremonti (PDL- Forza Italia – Lega) (tra il 2008 e il 2011) aveva tagliato 8 miliardi di euro alla scuola statale e di fatto aveva prodotto pesanti danni alle attività laboratoriali (il laboratorio di matematica era stato eliminato, gli insegnanti madrelingua erano state cacciati da tutte le scuole con il pretesto del taglio della spesa pubblica, indebolendo il sistema di apprendimento delle lingue straniere), mandando a casa 200 mila insegnanti, cioè sono state tagliate 200 mila cattedre.

Con la riduzione del 50% le ore di lezione e di conseguenza migliaia di insegnanti rimasero senza cattedra, vennero dirottati sul sostegno con corsi di riconversione obbligatori e conseguentemente una forte riduzione dei saperi. Svolgere lo stesso programma didattico con metà delle ore vuol dire di fatto riduzione della conoscenza e della cultura.

È vero, i giovani non sanno leggere e comprendere un testo scritto ma è soltanto la conseguenza scellerata da parte dei governi di destra e sinistra che pensarono soltanto alla riduzione della spesa pubblica, producendo non cultura ma solo tagli nella didattica sia nelle scuole secondarie di primo grado (medie) e secondarie di secondo grado (superiori).

Per non parlare dell’altra idea fallimentare dei licei light, con la riduzione di un anno del percorso scolastico nei licei sperimentali, della “Buona Scuola” di Matteo Renzi, una riforma che fu bocciata da più del 90% degli insegnanti ma che purtroppo confermò la riduzione drastica delle ore di lezione delle materie tecniche e professionali.

Minando definitivamente il futuro degli studenti. Il simbolo della scuola del terzo millennio è riduzione!

Le attuali proposte del governo Meloni sulla scuola non fanno sperare ad un miglioramento della cultura e dei saperi degli studenti ma sui “sapori e profumi”, viva la scuola del made in Italy.

Ma chi se ne frega del diritto costituzionale dell’istruzione in Italia.

È più semplice dare la colpa ai giovani ignoranti e ai prof che non vogliono fare i tutor, gli orientatori, i coordinatori strategici del Pcto per due euro di elemosina.

Il grande dilemma shakespeariano è “Sapere o non Sapere, riduzione o non riduzione questo è il problema!” Dobbiamo formare giovani con grande cultura e coscienza critica o basta saper cucinare una cacio e pepe accompagnata da un rosso Docg?

Per questo Governo meglio la seconda opzione.

Paolo Latella

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