Il recente decreto legge 19 del 2 marzo modifica non poco le regole della formazione per l’anno di prova.
Ne parliamo con Paolo Fasce, dirigente scolastico dell’Istituto Nautico di Genova e Camogli.
Preliminarmente, vogliamo fare una sintesi delle nuove disposizioni?
L’art. 14 del DL n. 19 modifica il D.Lgs. 59/2017 aggiungendo il comma 1.bis all’art. 18 precisando che “a decorrere dall’anno scolastico 2023/2024, le attività formative durante il periodo annuale di servizio in prova prevedono anche la frequenza, comprovata dal conseguimento di apposito attestato finale, di uno o più moduli formativi, pari ad almeno il 20 per cento delle ore complessivamente previste nel decreto di cui al all’articolo 13, comma 1, quinto periodo, erogati nell’ambito delle linee di investimento 2.1 e 3.1 della Missione 4, Componente 1, del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
Concretamente cosa significa?
Intanto diciamo che le linee di investimento 2.1 e 3.1 si realizzano entro i DM 65 e 66 2023 che hanno istituito i percorsi “Formazione del personale scolastico per la transizione digitale nelle scuole statali” e “Competenze STEM e multilinguistiche nelle scuole statali” ai quali le scuole hanno aderito entro il giorno 8 e 28 febbraio rispettivamente.
L’art. 13 del decreto 59 è quello che demanda ad successivo provvedimento ministeriale la concreta organizzazione delle attività formative.
E cosa si prevede per il 2023/24?
Al momento sono previste 50 ore così suddivise:
Ma adesso il DL 19 dice che il 20% delle attività devono essere dedicate alle competenze digitali, Stem e multilinguistiche…
Non è chiaro se il Decreto Legge contenga un refuso in merito all’anno scolastico di partenza di questa innovazione, oppure se queste ore debbano intendersi come aggiuntive, oppure, ancora, se è da intendersi che si partirà dall’anno prossimo. Vale infatti la pena ricordare il fatto che le attività formative dell’anno di prova sono in corso da mesi (o, almeno, da settimane, a seconda dell’efficienza dei diversi USR e degli Ambiti territoriali incaricati di gestire le ore laboratoriali).
E quindi come ci si deve comportare?
A mio parere il Ministero dovrebbe aggiornare il DM 226/2022 illustrando dove e come inserire le 10 ore che si impone di dedicare alla partecipazione ai percorsi istituiti nelle singole scuole.
Una modifica possibile, ma non letterale rispetto alla norma che potrebbe essere quindi corretta in sede di conversione del decreto, passa attraverso il patto formativo sottoscritto dai docenti tenuti all’anno di prova coi dirigenti scolastici, imponendo che in questo documento sia contenuta la partecipazione, oltre le 50 ore definite col DM 226/2022 che ha sostituito l’analogo DM 850/2015 (formalmente non abrogato dal successivo).
Però di mezzo ci sono anche le nuove norme contrattuali…
Infatti, su questa soluzione interferisce il nuovo CCNL che prevede il pagamento delle ore eccedenti le 40+40 ore entro le quali la formazione deve convivere con le riunioni degli organi collegiali. Se così fosse, dovrà essere esplicitata in apposita nota o decreto la specialità della formazione dell’anno di prova che non ricade sulla formazione ordinaria.
Lei è uno dei promotori del progetto di legge sulla cattedra inclusiva che prevede che tutti i docenti, e non solo quelli di sostegno, abbiano una formazione sui temi dell’inclusione. Per intanto non sarebbe necessario che questo tema sia obbligatorio almeno per i docenti in anno di prova?
Considerato il potere trasformativo di una didattica realmente orientata all’inclusione rispetto a quello di una didattica che incorpori le tecnologie, pur non solo come strumento ma con fini pedagogici, direi che la risposta è ovvia ed è affermativa. Peraltro le diffuse resistenze che si sono registrate due anni fa, quando questa formazione fu resa obbligatoria per legge per quasi tutti i docenti italiani, ha già fatto capire come siano troppo diffuse pratiche solo formalmente inclusive e, di conseguenza, questo sia un campo che non può essere lasciato sguarnito ad alcun genere di spontaneità.
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