Nel dibattito sulla scuola, assistiamo a dei preoccupanti scivolamenti linguistici, che possono arrivare alla vera e propria mistificazione:
1) Il diritto/dovere dei docenti all’aggiornamento della preparazione culturale e didattica diventa obbligo di “formazione”, come se gli insegnanti si trovassero in classe per caso, la loro preparazione e la loro esperienza non contassero nulla e dovessero essere “formati” o “riaddestrati” da zero, in modo a-culturale e acritico, nell’obbedienza ai dettami di un “clero ministeriale” che di scuola e insegnamento sa poco o niente. Da insegnanti a burocrati, appunto;
2) Si dà il nome di “autonomia” a un sistema para-aziendalistico in cui un dirigente-manager impone la propria volontà, in ossequio alle indicazioni che gli arrivano dall’alto, a dei docenti ridotti a esecutori e privati – in spregio dell’articolo 33 della Costituzione – di ogni autonomia culturale e pedagogica.
Una truffa linguistica e concettuale, imperniata sull’ambiguità della parola “autonomia”, che spaccia l’aziendalizzazione, la privatizzazione, la deriva verticistica e “manageriale” della scuola pubblica (ora utilissima per indirizzare le risorse del PNRR in direzioni predeterminate da precisi interessi economici, anche al di fuori di ogni reale necessità educativa e culturale) per un’operazione di democratizzazione. Viene da chiedersi se chi continua a difendere questa “autonomia” sia in malafede o non abbia capito cosa stia realmente accadendo alla scuola;
3) La fantomatica terribile “didattica trasmissiva” unidirezionale, con l’insegnante che tiene una conferenza senza curarsi di chi ha di fronte e gli studenti che assorbono passivamente, con la cattedra e la predella, i vasi, l’imbuto ecc. ecc., sono cose che non esistono più da nessuna parte e che servono solo come straw man argument per giustificare lo smantellamento delle discipline, dei saperi e delle conoscenze nella scuola pubblica.
Ogni lezione degna di questo nome in realtà è una sperimentazione didattica, che tiene conto dell’infinita varietà dei contesti e delle situazioni educative possibili. Invece una “sperimentazione” calata dall’alto, in astratto, per motivazioni che non hanno nulla a che vedere con la scuola (come quelle legate ad esempio agli “ambienti di apprendimento innovativi”), è una contraddizione in termini. Speriamo che se ne rendano conto in tanti, almeno tra quelli che non sono coinvolti nel grande business della “formazione” e dell’ “innovazione”.
Gruppo La nostra scuola
Associazione Agorà 33
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