L’ultimo numero della rivista trimestrale di Cisl Scuola è interamente dedicato alla formazione. Ne parliamo con la segretaria generale del sindacato, Ivana Barbacci.
Voi pensate che quello della formazione sia un tema strategico per migliorare il nostro sistema scolastico?
Come ho scritto nel mio editoriale, sono convinta che la formazione, e la sua qualità, siano oggi fattori di importanza fondamentale in ogni campo di attività, quale che sia la professionalità esercitata. Lo impone la sempre maggiore rapidità dei cambiamenti con i quali ci confrontiamo a livello economico e sociale, rispetto ai quali è indispensabile attivare supporti di formazione e aggiornamento continui, pena il rischio di obsolescenza dal quale nessuna professionalità può dirsi esente.
E forse, nella scuola, il rischio di obsolescenza è ancora più evidente…
Direi proprio di sì, e ancor più per il lavoro di insegnante, la cui complessità non ci può certo sfuggire, così come la necessità di essere in linea col fabbisogno di un contesto in perenne evoluzione, come ho già detto. C’è una linea di coerenza che ci impone di assegnare centralità al tema della formazione, iniziale e in servizio, la cui valenza strategica ci è molto chiara nel momento in cui rivendichiamo una forte e significativa rivalutazione del lavoro nella scuola.
Si parla molto dei corsi Indire per la formazione dei docenti precari di sostegno. Diversi esperti sostengono che questa “riforma” avrà come risultato quello di abbassare il livello di preparazione dei docenti di sostegno. Lei cosa ne pensa?
A monte ci sono i dati, da noi più volte evidenziati, che dimostrano come l’affidamento in esclusiva alle Università della gestione dei percorsi di specializzazione si sia rivelato non adeguato a soddisfare il fabbisogno di docenti specializzati, con uno squilibrio macroscopico fra le diverse aree territoriali: è noto a tutti che nelle regioni del sud vi è sovrabbondanza di insegnanti col titolo per il sostegno, con organici praticamente saturi, mentre una situazione diametralmente opposta si verifica al nord. Sulle garanzie di qualità dei titoli, credo non si possano fare discorsi in astratto, specie in una situazione nella quale il livello accademico dei titoli è soddisfatto anche con la frequenza di corsi all’estero, sui quali, come è noto, ci sono discussioni infinite e anche pronunciamenti della giustizia amministrativa. Non a caso, i corsi Indire riguardano anche chi ha titoli conseguiti fuori dall’Italia, oltre a chi già ha fatto lunga esperienza sulle attività di sostegno.
Possiamo “fidarci” della qualità della proposta formativa dell’Indire?
Io penso che, per i corsi Indire, conterà molto il modo in cui saranno concretamente impostati e gestiti. Noi, per esempio, abbiamo sempre chiesto che vi sia, nei percorsi che attestano requisiti di professionalità riguardanti il sistema di istruzione, un ruolo non marginale delle scuole, come luoghi di professionalità concretamente vissuta, non solo teorizzata. In ogni caso, va evitato, naturalmente, che vi siano titoli di serie A e di serie B, se posso usare questa espressione.
La formazione in ingresso è certamente importante, ma forse anche quella in servizio deve essere tenuta nella dovuta considerazione. Lei pensa che si potrebbe fare di più?
Ho già detto che, secondo noi, l’importanza della formazione in servizio cresce in ragione della rapidità e della frequenza dei processi di innovazione e cambiamento che investono la società e di riflesso la scuola. Nel mio editoriale ho segnalato in modo esplicito due possibili declinazioni sbagliate del concetto di formazione come “diritto e dovere” contenuto ancora oggi nel nostro contratto di lavoro. Ho detto che affermare la formazione come “diritto” non può trasformarla in una sorta di optional esercitabile a discrezione del singolo, così come il “dovere” non può tradursi nell’imposizione di obblighi “purchessia”, a prescindere dalla loro congruenza con profili o progetti precisamente individuati.
E allora quale dovrebbe essere la “declinazione corretta” dei due termini?
La formazione in servizio va considerata in un’ottica di sistema, se si vuole affrontarla nel modo giusto, un sistema che deve far conto su professionalità di profilo elevato. L’ultimo contratto interviene con parole chiare su alcuni aspetti, in particolare per i docenti, collocando espressamente le attività formative in quelle funzionali e prevedendo un compenso aggiuntivo qualora eccedano gli obblighi di servizio, e inoltre richiamando la necessità di uno stretto collegamento fra attività formative e piano dell’offerta formativa.
Forse è anche necessario individuare un qualche legame fra formazione e valorizzazione professionale. Cosa ne pensa?
E’ un tema delicatissimo ma a mio avviso ineludibile: si tratta di individuare modalità per cui la formazione possa diventare anche credito per forme specifiche di valorizzazione della professionalità, al cui “sviluppo e arricchimento” si riferisce esplicitamente l’art. 36 del nostro contratto. Al riguardo, e facendo tesoro anche della nostra storia, mi sento di dire che su questo versante per dare risposte efficaci occorre un forte e specifico investimento di risorse (non possiamo autofinanziare le carriere a scapito di una rivalutazione generale delle retribuzioni, obiettivo che resta oggi prioritario) insieme alla capacità di mettere a punto progetti chiari, efficaci e condivisi cui destinarle. Aggiungo che la sede in cui affrontare il problema è e deve rimanere quella contrattuale, con le responsabilità che ne conseguono anche per il sindacato, chiamato a fare qualcosa di più in capacità di elaborazione e proposta. Noi siamo impegnati a fare la nostra parte, perché vogliamo essere protagonisti del cambiamento, sapendo che diversamente finiremo per subirlo, col rischio che sia un cambiamento che non produce miglioramento né crescita.