La formazione del personale, ad iniziare da quella dagli insegnanti, non solo dei neo-assunti, è uno dei punti salienti del programma predisposto pochi giorni fa dal nuovo ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Ma la formazione in servizio di tutti i docenti di ruolo è anche prevista dal comma 124 della Legge 107 del 2015, che l’ha resa “obbligatoria, permanente e strutturale”. Quindi, diventa uno dei punti che rientrano nella funzione docente.
Ogni scuola, nell’ambito della sua autonomia e del proprio Ptof, decide poi quali tipi di attività di formazione dei docenti adottare. E anche la tempistica e la quantità di ore da svolgere.
“Le attività di formazione – recita sempre il comma 124 – sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria”.
Il riferimento ai sindacati non è casuale, perché la formazione deve essere svolta “in servizio”, quindi nell’ambito delle ore retribuite previste dal Ccnl.
Per quel che riguarda il Piano nazionale di formazione, va detto che il documento è adottato ogni tre anni con decreto Miur, anche in questo caso sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.
In attesa che la norma trovi attuazione nel Ccnl, il 19 novembre scorso è stata sottoscritta, a questo proposito, l‘ipotesi di contratto di piano di formazione d’istituto, che ha definito i criteri per ripartire direttamente alle scuole le risorse per la formazione del personale docente, educativo e ATA per il triennio 2019/2022.
Il piano di formazione d’istituto va realizzato in coerenza con gli obiettivi del Ptof, con le priorità nazionali e con i processi di ricerca didattica, educativa e di sviluppo, considerate anche le esigenze ed opzioni individuali. Esso comprende le attività deliberate dal Collegio dei docenti e le azioni formative proposte dal Direttore per i Servizi Generali ed Amministrativi per il personale Ata.
Le iniziative sono progettate dalla scuola singolarmente o in reti di scopo, favorendo anche la collaborazione con le Università, gli Istituti di ricerca, e con le Associazioni professionali qualificate e gli Enti accreditati.
Ed è nel Piano di formazione d’istituto che sono previste iniziative di autoformazione, di formazione tra pari, di ricerca ed innovazione didattica, di ricerca-azione, di attività laboratoriali, di gruppi di approfondimento e miglioramento, precisando le caratteristiche delle attività e le modalità di attestazione.
È bene quindi ribadire che non esiste alcun monte orario obbligatorio annuale da svolgere: premesso che i docenti non dovranno svolgere le attività oltre le ore previste dal contratto di lavoro, è di esclusiva competenza del Collegio dei docenti stabilire quali sono le attività formative obbligatorie ed un eventuale “tetto” minimo di ore annuali: diversi istituti hanno deliberato attorno alle 20 ore l’anno. Ma, ripetiamo, si tratta di indicazioni tutt’altro che vincolanti.
Come non esistono vincoli sui contenuti. Non ci risulta, ad esempio, che tutti i Collegi dei docenti degli oltre 8 mila istituti scolastici abbiano deliberato la decisione di aderire ai obbligatoriamente alla piattaforma ‘Sofia’ messa a disposizione dal Miur: viene da chiedersi il motivo per il quale ci si scandalizzi del fatto che solo un docente su due lo abbia fatto, iscrivendosi al sito internet formativo con all’interno una vasta offerta di corsi selezionati e autorizzati dal ministero dell’Istruzione.
C’è poi da fare un cenno sulle sanzioni. Chi controlla se nel corso dell’anno il docente ha svolto la formazione? Il dirigente, ovviamente.
Spetta al capo d’istituto, infatti, verificare se un docente non partecipa alla formazione obbligatoria deliberata dal Collegio, perchè si tratta di un obbligo di servizio.
Su questo punto, però, di fatto negli ultimi anni abbiamo saputo di dirigenti scolastici che non hanno mai rivendicato alcun resoconto ai docenti.
Ma non solo. Ci è stato detto di capi d’istituto che, dopo avere fatto richiesta al corpo docente di una sintesi dell’attività formativa svolta, e aver ricevuto resoconti insufficienti oppure addirittura non hanno ricevuto risposta, poi di fatto non hanno chiesto spiegazioni. Né hanno concesso ulteriori periodi per “mettersi in regola”.
La necessità di rivedere le norme sulla formazione obbligatoria, stavolta anche con norme chiare e da condividere nel contratto di categoria, diventa sempre più impellente.
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