Su formazione e aggiornamento i sindacati vogliono tornare all’obbligo e cancellare l’idea del diritto all’aggiornamento.
Basta leggere poche righe della proposta di piattaforma contrattuale sottoscritta da Flc-Cgil, Cisl-Scuola, Uil-Scuola e Snals per capire che almeno su un punto i sindacati hanno deciso di innestare la retromarcia.
Ci riferiamo alla questione della formazione in servizio del personale docente che fino alla fine degli anni ’90 era considerata un obbligo dell’insegnante ma che si trasformò in un diritto a partire dal contratto nazionale siglato nella primavera del 1999.
All’epoca, il passaggio dall’aggiornamento obbligatorio alla formazione considerata come diritto venne presentato come una “conquista” del sindacato contro il Ministero.
Adesso però i 4 sindacati firmatari della piattaforma cambiano completamente posizione e scrivono senza mezzi termini: “La formazione in servizio deve rappresentare un obbligo per l’amministrazione e un dovere per l’insegnante in modo da diventare il fondamento su cui incentrare lo sviluppo professionale dell’intera vita lavorativa”.
Commenta Alessandra Cenerini, presidente dell’ADI (Associazione docenti italiani) che in tutti questi anni non ha modificato il proprio punto di vista sulla questione: “Mi sembra che i sindacati abbiano scoperto l’acqua calda. Noi siamo sempre stati convinti che la formazione fa parte della identità professionale del docente e in quanto tale deve essere definita per legge e non certamente regolata per contratto”.
“Il problema – aggiunge Cenerini – è che ci troviamo in una situazione paradossale: da un lato il Governo vorrebbe riportare tutto alla legge, anche gli aspetti retributivi mentre i sindacati continuano a chiedere che tutto stia nel contratto. Per uscire da questo paradosso bisogna riscrivere al più presto lo stato giuridico dei docenti in modo da chiarire bene cosa debba essere definito per legge o cosa possa e debba essere contrattato con le parti sociali”.
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