Formazione in servizio: obbligatoria vs libera

Pregiatissimo neo-Ministro, Prof.ssa Giannini,

Vi scrivo questa breve lettera aperta a causa della Vostra provenienza dai vertici accademici e per la Vostra conoscenza delle problematiche universitarie.Il Vostro predecessore, anch’Ella rettrice accademica, prospettava la formazione obbligatoria degli insegnanti (per la verità con qualche malcelato intento punitivo, su cui non è ora strategico soffermarsi in particolare).
Mi chiedevo se il conseguimento di ulteriori titoli universitari post lauream (come ad esempio i dottorati di ricerca) nonché ulteriori lauree, masters ed affini, potesse secondo Voi costituire momento di formazione, ripasso, consolidamento ed approfondimento curricolari, ed altresì utile momento di osmosi intercompartimentale funzionale a travasare competenze tra ambienti, ad oggi, eccessivamente a reciproca tenuta stagna (a differenza di quanto, ad esempio, avviene in Francia, con la cosiddetta Agregation, che valorizza il ruolo delle figure “ponte”, di raccordo, tra le superiori e l’università)
Se lo ritenete anche voi opportuno, come supporrei, prendereste in considerazione di abrogare le assurde restrizioni che il ministro Gelmini introdusse nella normativa in materia di congedo straordinario-aspettativa per motivi di studio?

Vi ricordo che Costei pose un limite surrettizio ed arbitrario alla formazione in servizio, in totale antitesi con il principio della formazione in servizio auspicata dal Ministro Carrozza (obbligatoria o meno poco conta). 

In precedenza, la normativa scolastica era invece assolutamente in linea col principio della long life learning e, di conseguenza, anche della formazione ricorrente, poiché il quadro normativo precedente imponeva ragionevoli limiti unicamente nel caso in cui un dipendente pubblico acquisisse titoli a spese dello stato ma poi decidesse di licenziarsi (di sua volontà) per transitare nel privato, e spendere colà dette competenze aggiuntive, configurando un danno allo stato medesimo. Questo vincolo di permanenza nel pubblico per almeno tre anni era assolutamente condivisibile, e considerava la crescita culturale come un investimento a lungo termine in risorse umane, ossia una generalizzazione ed estensione della “formazione obbligatoria” (magari di qualità dubbia) che il vostro predecessore invocava.

Riterrei strategico assecondare il desiderio di libera formazione avanzata rendendolo innanzi tutto di nuovo possibile come lo era stato, e secondariamente valido per assolvere eventuali obblighi di formazione in servizio (principio che peraltro non condivido, perché lo studio volontario, per passione, ha una ricaduta incomparabilmente superiore a quello coatto)

Se invece non lo riteneste opportuno, potreste anche spiegarne la ragioni (qualora non siano mere considerazioni contabili)?

Vi ringrazio per la considerazione

Distinti saluti

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