Come era facile prevedere, sullo schema di decreto ministeriale applicativo delle norme contenute nel DL 36/2022 in materia di attribuzione delle risorse finaizzate a sostenere la formazione incentivata, il CSPI ha espresso parere del tutto negativo.
Per la verità, in apertura di parere, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione dichiara di “condividere la volontà del legislatore di riconoscere adeguato valore alla continuità didattica, educativa e progettuale a garanzia dello sviluppo personale di ciascun allievo”.
“La continuità didattica – sottolinea anzi il CSPI – è uno dei presupposti per una efficace attuazione del diritto allo studio degli alunni e, in particolare, di quelli con disabilità”.
Subito dopo, però, il CSPI sostiene che lo schema di decreto sembra “introdurre misure inefficaci rispetto ad un obiettivo di gran rilievo come quello di garantire e valorizzare la continuità dell’insegnamento”.
Il CSPI sottolinea poi che il decreto interviene “in maniera intempestiva in quanto, oltre a non essere stato adottato entro il 30 giugno 2022, potrà essere applicato solo dal prossimo anno scolastico soprattutto perché gli effetti sulla continuità didattica si potranno registrare e riconoscere a partire dalle operazioni di mobilità che avranno effetto da settembre 2023, periodo in cui il CCNI sulla mobilità sarà già intervenuto e avrà regolato tutta la materia”.
Nel merito del decreto, il CSPI evidenzia che “il criterio adottato per incentivare la continuità didattica dei docenti presuppone di valorizzare quegli insegnanti che nell’anno scolastico di riferimento non abbiano ottenuto mobilità, assegnazione provvisoria o utilizzazione nonché incarichi di insegnamento a tempo determinato”.
“Verrebbe pertanto incentivato – aggiunge il CSPI – non il personale docente che intenzionalmente sceglie di rimanere nella stessa scuola a garanzia dell’’interesse dei propri alunni e studenti alla continuità didattica’, ma anche coloro che, pur avendo espresso la volontà di trasferimento di sede, non l’abbiano ottenuto per motivi oggettivi (come ad esempio l’indisponibilità di posti). Non aver individuato nello schema di decreto il criterio dell’intenzionalità da parte del docente rende inefficace la valorizzazione della continuità come prevista dalla norma. Di conseguenza i criteri individuati dal decreto non permettono di incentivare solo chi volontariamente sceglie di assicurare la continuità didattica ma anche chi, pur avendo prodotto domanda di trasferimento, casualmente non l’ha ottenuta”.
“Inoltre – si legge ancora nel parere – non si fa alcun distinguo rispetto al personale docente che, pur non avendo chiesto trasferimento, sia stato destinatario di mobilità d’ufficio o a domanda condizionata, per cui la condizione di soprannumerarietà diventa occasione di penalizzazione”.
Il CSPI evidenzia infine come il decreto non riconosca adeguata centralità alla valorizzazione“‘… del personale docente in servizio presso le scuole caratterizzate da valori degli indici di status sociale, economico e culturale e di dispersione scolastica“
Tale criterio per la valorizzazione dovrebbe “prescindere dalla residenza del docente, mentre il decreto collega entrambi gli aspetti e ne condiziona l’applicazione”.
Secondo il Consiglio superiore della pubblica istruzione, insomma, lo schema di decreto sarebbe quanto meno impreciso, se non addirittura “raffazzonato” e, oltretutto, del tutto inefficace a garantire davvero una maggiore continuità dell’intervento didattico.