Per l’Italia non arriva la temuta bocciatura sulla richiesta di rinvio del pareggio di bilancio. Riesce a guadagnare tempo, ma deve fare i conti con un nuovo richiamo della Commissione europea sul debito elevato e con la richiesta di “misure aggiuntive” per farlo scendere già nel 2014. In pratica, non c’è bisogno di manovre correttive perché con gli interventi programmati gli obiettivi saranno raggiunti. Bruxelles vuole solo che l’Italia intervenga al più presto con privatizzazioni, spending review e riforme pro-crescita, in modo da essere pronta quando l’anno prossimo scatterà la ‘regola del debito’ che impone il taglio ‘forzoso’ di un ventesimo all’anno dell’eccedenza. E’ quindi per stimolarla e tenerla costantemente attiva sul fronte delle riforme da attuare, e di quelle ancora da fare, che la Commissione ha deciso di non ‘bacchettare’ l’Italia, ma solo di indicare la necessità di adottare aggiustamenti strutturali. Al momento, infatti, le modifiche al Patto di stabilità hanno ridotto il suo deficit depurato dal ciclo solo di 0,1 punti percentuali invece dello 0,7 richiesto.
Quindi, considerata la situazione ancora fragile della ripresa, Bruxelles ha solo ‘rimandato’ l’Italia ad ottobre, quando con la nuova legge di stabilità rifarà il punto sugli sforzi fatti per ridurre il debito e nel caso non li giudicasse sufficienti potrebbe allora chiedere manovre urgenti sui conti. Una eventualità che non preoccupa il Governo, che si dice “fiducioso che gli interventi pianificati consentiranno di raggiungere gli obiettivi indicati nel Programma di Stabilità”.
Il nuovo appuntamento con Bruxelles è quindi a ottobre, ma questo tempo che l’Italia ha guadagnato deve usarlo per “aumentare l’intensità delle riforme”, per non “accumulare ulteriori ritardi”. La Commissione invita a rimediare ai “progressi limitati” per aiutare giovani e donne ad inserirsi nel mercato del lavoro migliorando l’efficacia dei servizi di collocamento e combattendo il lavoro nero. Sempre la Commissione europea chiede di assicurare il taglio del cuneo fiscale anche nel 2015 e di spostare la tassazione dai fattori produttivi ai consumi e ai beni immobili e all’ambiente. E vuole anche una pubblica amministrazione più efficiente, quindi insistendo nella spending review. Per quanto riguarda la scuola, oltre ad una “diversificazione della carriera dei docenti, la cui progressione deve essere meglio correlata al merito e alle competenze”, l’Ue chiede un’istruzione più legata al mondo del lavoro: nello specifico, viene chiesto di accelerare sull’apprendimento “basato sul lavoro e l’istruzione e la formazione professionale. A seguito del decreto legislativo del 2013 in materia, è essenziale istituire un registro nazionale delle qualifiche per garantire un riconoscimento delle competenze a livello nazionale”.
Il messaggio è chiaro: se si vuole combattere seriamente la disoccupazione giovanile e la dispersione scolastica occorre avviare in fretta forme sistematiche di alternanza scuola-lavoro. Anche nelle regioni dove le industrie scarseggiano. E occorre farlo subito, dando seguito ad un impianto normativo che già esiste: nel triennio di tecnici e professionali, ad esempio, le scuole già organizzano attività di stage e tirocinio obbligatorio. Spesso, però, fanno quel che possono: i mezzi limitati a disposizione, assieme alle strutture laboratoriali non sempre all’altezza, sono l’handicap maggiore.
Il Governo è chiamato ora ad agire già in estate dando il via libera a finanziamenti adeguati, per avere dei primi risultati concreti già nel prossimo anno scolastico. Altrimenti, continuare a pensare di allestire dei corsi di alternanza scuola-lavoro di qualità, con gli istituti che hanno a disposizione poche centinaia di euro l’anno a classe rimane un’impresa impossibile.
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