Ha scatenato reazioni indignate il trattamento riservato dal ministro Giannini agli insegnanti, in occasione dell’intervista al settimanale Gente dell’8 ottobre.
Anche alla vigilia di un referendum considerato dal premier la battaglia campale, e dopo tutti i guai di avvio dell’anno scolastico, il ministro dell’Istruzione non si è infatti probabilmente resa conto che ha trasformato il motivo che ha portato alla costituzione del piano nazionale sulla formazione dei docenti, in un attacco alla categoria. Di fatto, si è gettata benzina sul fuoco di un malcontento mai sopito per una riforma che proprio non va giù.
Perché, dopo aver lanciato il nuovo Piano nazionale, che prevede un investimento di 325 milioni di euro, l’intervista a “Gente” ha suscitato un’ondata di reazioni molto “incavolate” da parte dei docenti, ai quali ha dato degli scolaretti che devono tornare sui banchi per imparare ad insegnare. Basta andare a guardare i commenti sulla pagina Facebook della nostra testata, per rendersi conto dell’indignazione generale: non abbiamo trovato una reazione positiva! Tutti i docenti intervenuti si ritengono, infatti, professionalmente offesi.
Cara ministra, i docenti sono dei professionisti. Per arrivare in cattedra hanno studiato anni e anni, per l’università, l’abilitazione, i concorsi (ultimamente fin troppo selettivi), hanno fatto la formazione per superare l’anno di prova. Meritano rispetto, soprattutto da chi occupa la poltrona di comando a viale Trastevere.
L’aggiornamento deve poi continuare per tutta la vita professionale: certamente, bene ha fatto il Governo ad investire. Ma non si poteva comunicare la nuova linea, senza scivolare nella provocazione?
La “rivoluzionaria opportunità” che il suo ministero “offre”, a partire da quest’anno scolastico, doveva essere presentata dicendo che “tutti i 750mila docenti italiani dovranno tornare sui banchi di scuola” come degli scolaretti? E bisognava aggiungere fastidiosamente che troppi docenti hanno metodi retrogradi e inadeguati?
Se un ministro non riesce a dire le cose in modo efficace e convincente, è come se i 325 miliardi di investimento per la formazione fossero stati buttati via. Si rischia di ritrovarci con uno sforzo di miglioramento che non porterà consenso, perché vanificato dalla comunicazione sbagliata. Un errore madornale ai tempi d’oggi.
Insomma, l’impressione è che a scuola di comunicazione non dovrebbero andare solo i docenti. E con ogni probabilità, ormai è troppo tardi per correggere il tiro.
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