Attualità

Formazione obbligatoria dei docenti: sulla carta è così, nei fatti ogni scuola fa come vuole

Quello della formazione in servizio dei docenti è uno dei temi del momento. Gli stessi sindacati continuano a dire che nel prossimo contratto nazionale bisognerà affrontare questo aspetto centrale della professione e definire con chiarezza tempi e modi.
A Mario Maviglia, una lunga carriera nella scuola, da maestro fino a provveditore agli studi di Brescia, abbiamo posto qualche domanda.

Ispettore, entriamo subito in argomento: da tempo si parla di diritto/dovere alla formazione; cosa ne pensa?

Prima di tutto vorrei fare una precisazione per evitare di essere frainteso. La situazione del nostro sistema scolastico è molto complessa, per analizzarla e per non essere presi dallo sconforto bisogna ricorrere anche all’ironia, cosa che ormai faccio sempre più spesso.
Ma veniamo al tema.
Per lunghi anni abbiamo detto che la formazione è un diritto/dovere dei docenti, una locuzione, questa, bellissima per dire tutto (ossia niente) e per scansare in modo rigoroso e scientifico l’inutile zavorra della formazione. Infatti, nella titanica (e bizantina) discussione riguardante quanto dovere e quanto diritto ci debba essere nella formazione, intere generazioni di docenti sono riusciti ad andare tranquillamente in pensione facendo poche o zero ore di formazione e potendo dire ai nipoti, con orgoglio: “Io non c’ero!”.

Per la verità, però, c’è di mezzo anche la legge 107 del 2015 che dice altro

Esattamente, la situazione assolutamente idilliaca e tranquilla descritta prima è stata proditoriamente e sciaguratamente sconvolta dalla legge 107/2015 che ha stabilito che la formazione dei docenti è “obbligatoria, permanente e strutturale”. Nel mondo scolastico e sindacale si è diffuso il panico, perché non tutti hanno colto la sottile e intelligente strategia utilizzata dal nostro legislatore nel far credere che la formazione diventasse qualcosa di stabilizzato nella vita delle istituzioni scolastiche.

Cosa intende dire?

In realtà il decisore politico non ha mai avuto la volontà di rendere davvero obbligatoria la formazione, e il decisore amministrativo ancora meno!
Il tutto, infatti, rientrava in una sorta di teatrino politico escogitato appositamente per confondere l’UE e far sembrare che in Italia la formazione è tenuta in grande considerazione. E in effetti, con visione lungimirante, la stessa Amministrazione scolastica si è ben guardata dal tradurre quella “obbligatorietà” in un monte ore definito e a sancirlo nel CCNL.

Non le sembra di esagerare ?

Per nulla. Stiamo ai fatti: con una nota applicativa (n. 2915 del 15/09/2016), degna della migliore scuola sofista, il Ministero precisava che “il principio della obbligatorietà della formazione in servizio” [va considerato] “come impegno e responsabilità professionale di ogni docente” [e dunque] “l’obbligatorietà non si traduce, quindi, automaticamente in un numero di ore da svolgere ogni anno, ma nel rispetto del contenuto del Piano”.
Questo concetto veniva ribadito con commovente iterazione con una nota successiva (la n. 25134 dell’1/06/2017) la quale stabiliva che “l’obbligatorietà non si traduce automaticamente in un numero di ore da svolgere ogni anno, ma nel rispetto del contenuto del piano”.
Leggasi: ognuno fa quello che vuole. D’altro canto non poteva essere diversamente: la nostra è una matura democrazia liberale.

Però, almeno per i temi dell’inclusione, adesso c’è la legge 178 del 30/12/2020) che prevede una formazione obbligatoria del personale docente impegnato nelle classi con alunni con disabilità non in possesso del titolo di specializzazione sul sostegno.

Certo, e il principio dell’obbligatorietà viene ribadito anche in un successivo decreto applicativo (il DM n. 188 del 21/06/2021).
Ma con una circolare che reca istruzioni in materia (ad esempio la n. 27622 del 6/09/2021) il personale docente interessato viene “invitato” a partecipare alle attività formative. Non “obbligato”, capite? E in effetti molti docenti, educatamente e con l’appoggio degli onnipresenti sindacati, hanno risposto al ministero: “Grazie dell’invito, mi ha fatto molto piacere riceverlo, ma non intendo parteciparvi. Ho altro da fare. Sarà per un’altra volta. Non perdiamoci di vista, però.”

Comunque sembra che i corsi si stiano facendo, si parla di centinaia di migliaia di docenti coinvolti nei corsi

Preferirei attendere qualche settimana per tracciare un bilancio preciso. Nella nota del 6 settembre 2021 viene detto che “per consentire l’effettiva erogazione delle risorse finanziarie entro l’a.f. 2021, le scuole saranno invitate a fornire rendicontazione entro e non oltre la data del 30 novembre p.v.”
In poco più di due mesi le scuole devono progettare le attività formative, trovare i formatori, stipulare i contratti, realizzare le attività formative a livello di ambito e fornire rendicontazione al Ministero entro il 30 novembre! Non ci si lasci però impressionare da questa veemenza decisionista; le ragioni in realtà sono molto serie e impongono un impegno solerte e senza indugi da parte delle scuole interessate alla formazione.

Secondo lei perché tutta questa fretta?

Secondo me questa oltremodo tempestiva mossa del Ministero nasconde un secondo fine, molto astuto e coerente con quanto abbiamo detto fin qui: con tempi così ridotti molte scuole non riusciranno ad organizzare la formazione e quindi, ancora una volta, si riuscirà a farla franca rispetto al famoso vincolo della “obbligatorietà” della formazione. L’Italia è un Paese magnifico: ad ogni problema trova sempre una non soluzione.

Reginaldo Palermo

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