Tra pochi giorni dovrebbe essere emanato un decreto (leggi l’articolo), dedicato alla promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità prevedendo all’art. 15 un piano, finanziato con 10 milioni di euro, di formazione in servizio per tutto il personale della scuola (Dirigenti- docenti- personale ATA) per migliorare l’approccio dell’intera comunità scolastica alle tematiche di una effettiva ed efficace inclusione dei ragazzi con Bisogni educativi speciali: macrocategoria che attualmente comprende anche i ragazzi diversamente abili e gli studenti con disturbi specifici di apprendimento.
Il Piano rivolto a tutto il personale docente “non specializzato” impegnato nelle classi con alunni con disabilità, dà una risposta positiva a quanto già delineato dal D.M.249 del 2010, che aveva previsto che tutti i docenti curricolari e non solo i docenti di sostegno avessero competenze nelle politiche di integrazione- inclusione, partendo dal principio base che i ragazzi diversamente abili sono assegnati alla classe e il Piano Educativo Individualizzato è un percorso curricolare che deve impegnare l’intero team docente di una classe e non solo i docenti di sostegno.
Un’adeguata e convinta formazione in servizio sulle tematiche dell’inclusione ci avrebbe permesso di affrontare in modo efficace e anche unitario anche le tematiche legate all’emergenza sanitaria evitando, nel primo anno scolastico condizionato dalla pandemia, l’esclusione totale dei ragazzi diversamente abili e nel secondo anno soluzioni pasticciate per garantire loro la frequenza in presenza.
Le conseguenze gravissime sono state messe in evidenza dall’ISTAT che con il report “L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità- A.sc. 2019/20” ha evidenziato come con la Didattica a Distanza sia diminuita la partecipazione degli alunni con disabilità alle lezioni del 23% interessando circa 70.000 ragazzi. Nel Mezzogiorno la percentuale è salita al 29 %.
Lo stesso report mette in evidenza come circa una scuola su quattro fosse carente di postazioni informatiche per gli alunni con disabilità ed elenca le cause che hanno determinato questa deblache educativa:
– la gravità della patologia (27%),
– la mancanza di collaborazione dei familiari (20%)
– il disagio socio-economico (17%)
– difficoltà nell’adattare il Piano educativo per l’inclusione (Pei) alla Didattica a distanza (6%),
– mancanza di strumenti tecnologici (6%) e,
– mancanza di ausili didattici specifici (3%).
L’Istat, inoltre, denuncia l’esistenza, nonostante la legge 104 del 92, ancora di numerose barriere architettoniche: solo una scuola su tre risulta accessibile per gli alunni con disabilità motoria. La situazione sembra meno grave al settentrione (36% di istituti a norma) mentre peggiora, raggiungendo i livelli più bassi, al meridione (27%). La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta, con il 63% di scuole accessibili, fanalino di coda la Campania. Qui solo il 21% delle scuole è priva di barriere fisiche (21%). Quanto agli ostacoli il più frequente (44%) è l’assenza di un ascensore; a seguire la mancanza di bagni a norma (26%) o servoscala (interno ed esterno, 25%).
Ai gravi dati dell’emergenza sanitaria si devono tenere nella massima considerazione altre criticità che non si è voluto e riuscito a risolvere in tutti questi decenni nei quali siamo stati, anche, pionieri per le politiche di integrazione con la legge 517 del 77 e la legge 104 del 92 per le quali abbiamo avuto riconoscimenti internazionali dal “World Future Council” dell’ONU.
Nelle scuole italiane operano su 245.723 alunni ben 176 mila docenti di sostegno, ma il 37% non è specializzato sul sostegno con punte del 47 % al Nord e del 24 % al Sud.
Tale situazione potrebbe aggravarsi il prossimo anno in quanto cinque mila docenti recentemente hanno ottenuto il passaggio dal sostegno alla propria classe di concorso. Anche l’imminente emanazione del bando per il VI ciclo di TFA per il sostegno per 9.000 docenti circa non coprirà il turn over costringendo molti docenti a spostarsi in altri Paesi europei per acquisire discutibili specializzazioni.
Solo l’Università di Trento, recentemente, ha avuto il coraggio di affrontare in modo strutturale la formazione iniziale dei docenti per il sostegno con una facoltà che prepara e abilita all’insegnamento sul sostegno, eliminando i corsi di specializzazione post universitari economicamente molto esosi per chi vuole affrontarli.
Un’adeguata formazione in servizio avrebbe sicuramente aiutato, nell’anno scolastico appena concluso, a dare risposte positive e adeguate alle indicazioni ministeriali del D.L. 22 del 2020 che ha previsto, anche nelle zone rosse, che gli alunni con disabilità possano seguire la didattica in presenza “in situazione di effettiva inclusione”, cioè con un gruppo di compagni della propria classe che lo desiderino e sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente e non docente presente a scuola.”
La formazione in servizio, ha subito scatenato un vivace dibattito sulla obbligatorietà della stessa, in quanto contrattualmente non si è voluto mai affrontare in modo serio la questione e rimandandone la soluzione che allo stato attuale si può comunque risolvere con un ottimale utilizzo di una parte delle ore (40 più 40) funzionali alla professione docente.
La vivacità della discussione non deve però riflettersi negativamente sui ragazzi che meritano una scuola di qualità e docenti, tutti, preparati culturalmente e deontologicamente motivati a dare il massimo a chi ha non “bisogni” ma “esigenze educative speciali” funzionali al proprio “progetto di vita”.
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