Quello dei “neet”, acronimo dall’espressione inglese Not in Education, Employment or Training, è un fenomeno in crescita in tutto il mondo occidentale, Italia compreso, arginato in parte dalla formazione professionale e dall’apprendistato: un ambito del mondo scolastico tuttavia non adeguatamente considerato, su cui gravano pregiudizi di lunga data.
“È proprio per superare un troppo diffuso pregiudizio – affermano gli organizzatori dell’incontro su L’intelligenza nelle mani – La riflessione pedagogica per educare al lavoro oggi, tenutosi a Brescia lo scorso 14 novembre – che il tema è stato affrontato al convegno. Agli stessi educatori e professori è spesso difficile il confronto con il mondo accademico, compreso quello socio-pedagogico, sulla base della valutazione preconcetta che contenuti e programmi di questi corsi non necessitano di grandi articolati o di buone nozioni di cultura generale, ma solo degli strumenti conoscitivi pratici per il fare”.
Tante le riflessioni, gli spunti e le prospettive per una proficua collaborazione, emersi durante il convegno promosso dal CNOS-FAP nazionale (Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione e Aggiornamento Professionale) con l’Università Cattolica di Brescia.
Dario Nicoli, docente di sociologia, osserva che c’è una specifica ragione per cui non ci si può più sottrarre a ragionamenti e interazioni: “in Italia attualmente sono attivi 2.224 corsi, con 40.525 allievi, che assolvono al diritto-dovere, al pari di scuole e apprendistato, con percorsi triennali di qualifica e quadriennali di diploma, oltre all’anno propedeutico per il diploma di Stato. Però, allargando lo sguardo ai Paesi dell’area Ocse, lì i giovani iscritti ai percorso professionalizzanti sono mediamente più di un terzo del totale, mentre nel nostro Paese siamo solo al 23%”, ripartito tra istituti professionali (17%), formazione professionale accreditata (5%), apprendistato (1%), con una differenza di oltre il 10%, composto da giovani costretti a scelte non coerenti con le loro caratteristiche e necessità”.
Venendo agli aspetti pedagogici, la provocazione lanciata da Mario Tonini, presidente del CNOS-FAP è quella di creare una positiva “contaminazione” tra il mondo accademico e quello, ritenuto a torto di nicchia della formazione professionale per studiare metodologie specifiche e mirate, suggerimento colto da Pierluigi Malavasi,docente di pedagogia dell’organizzazione e sviluppo delle risorse umane all’Università Cattolica, il quale asserisce che “la ripresa richiede opportunità di lavoro per superare il dramma della disoccupazione, ma nel contempo sollecita ideali forti che consentano di mobilitare le risorse morali e spirituali della popolazione, in grado di dare un senso pieno ai percorsi formativi ed ai progetti di vita e di lavoro dei giovani impegnati nei corsi di formazione professionale. Tali percorsi debbono quindi convergere intorno ad esperienze che mostrino agli allievi il valore di quanto essi via via apprendono, in riferimento ai ‘sogni e bisogni’”.
Dall’incontro emerge la possibilità di un cammino sbloccato, a cui far seguire tappe di lavoro e un confronto operativo.