Il ministro ha ribadito come nella riforma del mercato del lavoro l’apprendistato sia stato pensato per “diventare la via di ingresso tipica dei giovani nel mondo del lavoro. Oggi il mondo dei giovani è di precarietà, che è l’altra faccia di una flessibilità mal usata dalle imprese per ridurre il costo del lavoro, ma che non aumenta la formazione e la produttività”. E a proposito di disoccupazione giovanile, ha precisato che “occorre pazienza”, ma senza dire quanta.
“La disoccupazione giovanile intorno al 34% è tre volte quella generale: sinonimo di un malessere concentrato sulla componente giovanile”, a differenza per esempio della Germania dove la disoccupazione giovanile “è poco più alta, di due punti, rispetto a quella generale e dove l’elemento fondamentale è stato l’apprendistato”. Proprio con la Germania, l’Italia si appresta a dare il via ad un progetto di collaborazione sull’apprendistato, che verrà formalizzato la prossima settimana a Napoli.
“Abbiamo costruito uno strumento normativo che secondo noi è appropriato, poi serve pazienza, non possiamo pensare che si risolve tutto in pochi anni, è un investimento per il medio-lungo termine”.
Oggi il ricorso a tale strumento, peraltro sostenuto da sgravi contributivi, ha ancora sottolineato il ministro, “è una delle modalità con cui la riforma comincia a vivere. La cosa peggiore per una riforma è che resti nel cassetto, che non sia traslata, tradotta in comportamenti. Dobbiamo trasformare ‘faccio l’apprendista’ in un motivo di orgoglio” che significa “imparo e aumento le probabilità di essere confermato o di essere più appetibile nel mercato. Il nome è antico, ma non mi dispiace”, ha detto rispondendo a chi ne criticava la definizione “apprendista”.
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