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Foto bimbi sui social, strade di Roma piene di cornici con scritto: “Metteresti tuo figlio per strada?”. L’iniziativa di alcuni studenti

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Un’iniziativa davvero particolare che fa capire bene il concetto: un gruppo di studenti universitari ha lanciato “Cornici private“, una campagna di guerriglia marketing per sensibilizzare sui pericoli dello sharenting, ossia della condivisione di foto di minori sui social.

Come riporta RomaToday, i ragazzi hanno arredato Testaccio e altre strade della Capitale con cornici con fonti di bambini e la domanda “Metteresti tuo figlio per strada?”. Dietro ad ogni cornice c’è un QR code che una volta inquadrata rimanda al sito del gruppo. “E se nella foto ci fosse tuo figlio?” questa la frase che campeggia sopra un inquietante catalogo di foto dei bambini, creati con l’intelligenza artificiale grazie alle migliaia di foto pubblicate dai genitori sui social media, con le relative informazioni. 

“Abbiamo chiamato questo progetto ‘Cornici Private‘” – spiegano i ragazzi – “per sottolineare che le foto dei bambini dovrebbero rimanere private, protette e non accessibili a tutti ma anche per suggerire il cambio di contesto che abbiamo realizzato: cornici che sono state private da ambienti intimi come le pareti domestiche, e posizionate in luoghi pubblici, le strade”. 

Sharenting, le parole di Lucarelli alla Camera e le due proposte di legge

La blogger e scrittrice Selvaggia Lucarelli è intervenuta nel corso di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati dello scorso 11 aprile, volta a presentare il progetto di legge “Disposizioni sull’impiego dei minori nell’ambito delle piattaforme digitali di condivisione di contenuti multimediali” di Gilda Sportiello (M5S).

“Spesso i giudici non sanno cosa sia lo sharenting. Per evitare tutto ciò a monte purtroppo al momento la Legge è assente. Un giornale piccolo con una bassa tiratura non può pubblicare foto dei minori, mentre un genitore può postare foto dei figli sui social in qualsiasi circostanza, per quello che definisco narcisismo della genitorialità o per monetizzare. Esistono genitori che fatturano sui contenuti dei figli. I figli diventano un capitale, l’immagine dei bambini diventà proprietà dei genitori”, ha aggiunto.

Lucarelli ha parlato anche di contenuti in cui i bambini sono ridicolizzati o sessualizzati: “Il traffico, le visualizzazioni, diventano moneta. La loro pagina può essere venduta alle aziende ad un prezzo più alto. I bambini servono a questo, e creano anche empatia, affetto e anche valore. Parlo del rischio di una notorietà non scelta e un’identità digitale non voluto che diventerà zavorra per i bambini. L’irreversibilità del fenomeno dovrebbe spingere il Governo ad agire”.

A fine marzo è stata presentata alla Camera un’altra proposta di legge, frutto, anche, del lavoro della giornalista e social media strategist Serena Mazzini a firma Alleanza Verdi Sinistra.

I pericoli dello sharenting

Noi avevamo già trattato il tema quasi un anno fa. Il nostro collaboratore Dario De Santis, storico della scienza, ha realizzato un reel per sensibilizzare sui pericoli dello sharenting che è stato visto da più di due milioni di persone. Ecco il suo punto di vista: “Quando condividiamo una foto sui social infatti non la stiamo mostrando, ma stiamo diffondendo dei duplicati. Chiunque infatti, da Whatsapp a Facebook, può scaricare quella foto sul proprio device e farne ciò che vuole. Per quanto dunque il gesto assomigli molto a quello di mostrare una foto a un gruppo di amici, in realtà è qualcosa di profondamente diverso. E mentre i contatti digitali sono normalmente meno profondi e vincolanti di quelli fisici e reali, nel caso delle fotografie è esattamente il contrario: concedere l’amicizia a una persona su Facebook non significa farla entrare in “casa nostra”. Al contrario invece mostrare sui social una foto di nostro figlio in costume vuole dire permettere potenzialmente a chiunque di tenerne una copia.

Non penso di sorprendere nessuno affermando che esistono gruppi di pedofili che condividono anche materiale pescato dalla rete senza troppe difficoltà. Tuttavia, anche senza arrivare a uno scenario tanto inquietante, deve essere chiaro che il materiale condiviso in rete rimarrà per molto tempo a disposizione di tutti, anche di coloro che con noi non sono in contatto diretto.

I bambini non possono prendere una decisione di questo tipo, non hanno gli strumenti per riflettere sulle conseguenze di questo gesto; quando saranno grandi potranno decidere in prima persona se e cosa condividere di loro, comprese le tante foto dell’infanzia; ma se lo facciamo noi per loro prenderemo una decisione irreversibile.

Per cosa poi? Per un pugno di like? Mostriamo fisicamente le foto dei nostri bambini, stampiamole e teniamole in casa o regaliamole ai nostri cari, ma ricordiamoci che la condivisione di una foto digitale non è come mostrare un album di foto.

Si tratta di una questione rilevante, ancora poco dibattuta e lasciata alla coscienza di ognuno di noi. Sarebbe invece importante quantomeno riflettere sulle peculiarità di questo gesto per avviare a una discussione comune e stilare delle norme condivise.

Nel frattempo se proprio non possiamo fare a meno di condividere, postiamo in rete solo materiale fotografico che mostreremmo a un pubblico di sconosciuti”.