Lunga intervista alla neo eletta segretaria generale della Flc Cgil Gianna Fracassi su Il diario del lavoro. La leader del sindacato, subentrata a Francesco Sinopoli, ha parlato di diversi aspetti del mondo della scuola.
“A dicembre abbiamo chiuso un pezzo della parte economica e la chiusura della seconda parte è uno degli obiettivi che ci siamo posti. Dobbiamo chiudere velocemente questo contratto, dato che è relativo al passato triennio e il vero obiettivo è aprire il prossimo rinnovo di questo triennio, che riguarda il 2022-24. Le condizioni? Ci sono se sono presenti anche le sensibilità del Governo su alcune partite sbagliate che hanno determinato un rallentamento delle trattative, perché la responsabilità non è certo nostra. Noi abbiamo un nodo da sciogliere, cioè la restituzione di garanzie salariali attraverso il contratto di questo triennio dall’inflazione a due cifre. Quindi c’è la necessità che in legge di bilancio, e questa è una richiesta che abbiamo già fatto e rifaremo, ci siano le risorse necessarie per rinnovare i contratti pubblici e il contratto della conoscenza. Se andiamo a guardare il DEF, il Documento di Economia e Finanza, non mette risorse, è un “vorrei ma non posso”. Questo non è accettabile. Una parte consistente dei lavoratori pubblici di questo paese non può non avere una risposta all’inflazione. Questi sono gli obbiettivi di medio termine, da qui fino al mese di ottobre”.
“Noi non possiamo accettare che in questo triennio, che ha visto erodere gli stipendi dei lavoratori, pubblici e privati, non ci sia una risposta salariale adeguata. Questi sono settori dove la precarietà è quasi strutturale, come Scuola e Università, un precariato di Stato”.
“Se non ci saranno risposte adeguate in legge di bilancio, se non si metteranno risorse sul rinnovo di un contratto, che ricordo riguarda il triennio 22-23-24 quindi ad oggi siamo già fuori di quasi un biennio, noi faremo tutto quello che un sindacato può fare in questi casi. È abbastanza semplice la risposta. Dopodiché c’è anche una mobilitazione della Cgil in generale per dare risposte sul versante salariale. Come categoria saremo della partita con la confederazione”.
“E’ un tema che può determinare l’inclusione o meno dei lavoratori al mondo del lavoro che evolve velocemente con l’avanzare della digitalizzazione e della tecnologia. Il famoso mismatch ormai strutturale, che in molti si adoperano a correggere ma con ricette sbagliate a mio parere, è in parte legato a questi cambiamenti. Questo fenomeno dovrebbe imporre un sistema strutturato sulla formazione permanente. Bisogna mettersi nell’ottica che la formazione è un diritto del lavoratore, ma non solo, durante tutto l’arco della vita. Serve quindi una traduzione contrattuale di questo tema per farlo vivere.
Nel sistema scolastico abbiamo i CPIA (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, ndr) che giocano un ruolo essenziale per garantire anche pezzi di diritto alla formazione. Sono un pezzo di sistema pubblico, scarsamente valorizzato e comprendo le ragioni se consideriamo la progressiva esternalizzazione o privatizzazione. È paradossale che noi abbiamo così tanti CPIA per l’educazione degli adulti, ne abbiamo al contempo assolutamente bisogno ma come risultato non funzionino. Sono istituzioni scolastiche che hanno poche risorse sia economiche che umane per funzionare bene. Non si è investito abbastanza. Un altro ostacolo è l’incapacità di mettere a sistema le risorse che ci sono, di fare sinergia. Potrebbero giocare un ruolo chiave ma va ricostruito tutto un apparato. Ma soprattutto c’è una latenza, una inerzia sulla formazione come reti territoriali.
“Abbiamo 100.000 cattedre a tempo determinato. Quindi 100.000 cattedre che non diventano mai stabili. Ed è una condizione strutturale. Ma come possiamo pensare di dare una risposta di qualità a questi ragazzi e ragazze? E non parlo di qualità dell’insegnamento ovviamente. Parlo del fatto che una delle condizioni per seguire al meglio i ragazzi, in particolare con disabilità, dovrebbe essere quantomeno la stabilità delle loro figure di riferimento”.
Il disegno di legge Calderoli è una di quelle riforme che dividono il paese e non danno risposta alla solidarietà e alla coesione sociale. Ricordo che prevede la scelta alla carte di ciascuna regione dei livelli di autonomia. Ma questa è la negazione di una idea di Paese. Non rappresenta un miglioramento neppure per quei territori più ricchi. È proprio sbagliato culturalmente, oltre che dal punto di vista economico e di sviluppo. Ma come si può pensare, in un contesto globale che sta procedendo a un rafforzamento delle grandi potenze, durante un processo di de-globalizzazione così forte, di competere con le piccole patrie?
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