Solo in queste ore i suoi amici più cari ne hanno dato l’annuncio, proprio come egli stesso aveva chiesto: Francesco De Bartolomeis, il decano dei pedagogisti italiani, è morto il 29 giugno scorso a Torino.
Nato in provincia di Salerno il 20 gennaio del 1918, aveva compiuto 105 anni, ed era stato docente di pedagogia all’Università di Torino dal 1956 al 1988.
Grazie alla sua vasta conoscenza della storia della pedagogia, negli anni ’50 e ’60 lavorò molto per far conoscere in Italia i più importanti studiosi europei e nord-americani facendoli pubblicare dagli editori con cui collaborava (Loescher e Nuova Italia in particolare).
Fra i suoi primi testi va ricordato l’importante volume “La pedagogia come scienza” con cui egli prendeva nettamente le distanze dalla tradizione idealistica.
Negli anni settanta ebbe un ruolo decisivo nella nascita delle scuole a tempo pieno soprattutto a Torino. e all’università realizzò una importante sperimentazione di laboratori didattici per gli studenti dei suoi corsi finalizzati ad integrare lo studio teorico della pedagogia.
Le basi teorico-pratiche di questa innovazione sono contenute in due testi di quel periodo che ebbero un grande successo fra i docenti, “La ricerca come antipedagogia” e “Il sistema dei laboratori”.
E’ stato molto attivo ancora fino a poche settimane fa, continuando a scrivere e ad intervenire nel dibattito culturale e politico sulla scuola: pochi mesi fa aveva rilasciato un’ampia intervista al quotidiano Domani commentando senza troppi giri di parole il nuovo corso inaugurato da Ministro Valditara (“per la scuola italiana è una vera sciagura” aveva detto).
Nel settembre scorso era uscito il libro “I bambini, l’arte, la cultura” in cui si fondono i suoi due grandi interessi: l’educazione nell’infanzia e l’arte intesa anche come una pratica di conoscenze e creatività.
Esattamente un mese fa, il 2 giugno, presso la Prefettura di Torino era stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica.
Un anno fa aveva deciso di raccogliere alcuni suoi scritti precedenti accompagnandoli con riflessioni più recenti ancora inedite; nell’aprile del 2022 era stato pubblicato “Pensieri su cui pensare”, a settembre era uscito “I bambini, l’arte, la cultura” un piccolo volume in cui si fondono i suoi due grandi interessi, l’educazione nell’infanzia e l’arte intesa anche come una pratica di conoscenze e creatività.
E poi ancora “Percorsi educativi nello spazio e nel tempo” e “Un sistema educativo ramificato”; a fine maggio l’ultimo volume della serie, “Parliamone. Educazione, arte e altro”.
Le ragioni di questa sua intensa attività anche recente sono presto spiegate: per Francesco De Bartolomeis era impossibile limitarsi a “guardare”, la ricerca era connaturata con lui, è stata la sua ragione di vita; non a caso il suo libro più noto e più fortunato si intitola proprio “La ricerca come antipedagogia”.
In queste ore, su Facebook è tutto un susseguirsi di messaggi e commenti delle tante persone che lo hanno incontrato, letto e studiato. Un doveroso omaggio nei confronti di un grande studioso che chi ha conosciuto meglio non può che definire come un “intellettuale con la schiena dritta”.
Nella intervista a Enrico Bottero, pedagogista e ricercatore, passiamo in rassegna alcuni dei principali aspetti del lavoro e del pensiero pedagogico di Francesco De Bartolomeis.
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