Squadre di poliziotti che controllano i dintorni dei licei più caldi delle periferie di Parigi o che irrompono all’interno delle scuole accompagnati da cani specializzati nell’annusare ogni sorta di sostanze stupefacenti. Sono scene alle quali sempre più spesso si assiste in Francia. Controlli a sorpresa e retate di giovanissimi studenti fanno parte di un piano messo a punto dal governo per fare fronte al fenomeno crescente dell’assunzione di droghe leggere a scuola.
E’ la strada migliore, l’unica praticabile? La repressione poliziesca risponde pienamente all’esigenza di rispondere ai problemi di quell’inquietante 40 per cento di ragazzi che – secondo un recente sondaggio – consuma regolarmente cannabis? No, secondo la psicologa e analista Gisèle Bastrenta, autrice del saggio "Confrontarsi con l’haschich alla scuola media e al liceo. Capire, individuare, agire", pubblicato in questi giorni in Francia.
Al contrario, la studiosa sostiene paradossalmente che è la società stessa a spingere i ragazzi verso l’assunzione di droghe. Quando docenti e genitori affermano che i ragazzi fumano perché soffrono a causa di un disagio, in realtà – secondo la studiosa – non fanno che avallare indirettamente il fumo come soluzione al problema della sofferenza, oggi percepita come insopportabile e come tale presentata dai mezzi di comunicazione.
L’adolescenza diventerebbe, in sostanza, una sorta di sintomo da alleviare. La psicologa francese sostiene che soltanto assumendo il fatto che la sofferenza è intimamente legata all’età adolescenziale, si potrà sperare di arginare il problema. Debellarlo del tutto è pura illusione. Gli adulti – si legge nel saggio – devono trovare il coraggio di discutere apertamente e senza ipocrisie con gli studenti, con un unico, perseguibile obiettivo a breve termine: distinguere i momenti del lavoro da quelli dello svago, evitando il fumo durante le ore di scuola.
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