Dalle sommosse che hanno bruciato la banlieue parigina alle polemiche di ordine etnico-religioso, il dipartimento Seine-Saint-Denis sembra proprio non avere pace in questo scorcio del 2005. È dei giorni scorsi la notizia che la comunità indiana Sikh di Bondy – cittadina a nove chilometri di Parigi, teatro di scontri e incendi – ha chiesto ufficialmente al sindaco il permesso di costruire, con fondi propri, una scuola confessionale. Obiettivo, fare in modo che gli studenti appartenenti alla comunità possano frequentare una scuola che rispetti i rituali d’iniziazione previsti dalla religione Sikh, indossando il prescritto turbante che la recente legge sulla laicità ha vietato in tutte le scuole della repubblica allo stesso titolo del velo islamico e degli altri simboli di appartenenza religiosa. Netto il rifiuto opposto dal primo cittadino che contesta all’associazione la scarsa presenza di sikh nel territorio, in ogni caso un numero tale da non giustificare l’apertura di una scuola. Tanto più che lo stesso capo della comunità Sikh di Bobigny, la più importante di Francia, ha espresso parere contrario all’apertura di una scuola privata, sottolineando l’importanza della scuola pubblica ai fini di una migliore e più efficace integrazione. Dei circa 150 studenti Sikh attualmente frequentanti, soltanto tre sono stati espulsi nel corso dell’anno scolastico 2004-2005 perché rifiutavano di togliersi il turbante.
Dall’altro lato della Manica, al contrario, non solo esistono scuole private musulmane, ebraiche o avventiste del settimo giorno – oltre che cattoliche e anglicane naturalmente – ma pure costruite con l’appoggio finanziario dello stato. Un esempio di tolleranza e di pacifica convivenza o l’humus nel quale potrebbero acuirsi chiusure e particolarismi?