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Frequenza2000: “Perché studiare se poi non trovo lavoro?”

 Il fenomeno in Italia ha dimensioni allarmanti: i ragazzi di età compresa tra i 10 e 16 anni che abbandonano gli studi prima della conclusione del ciclo scolastico obbligatorio rappresentano il 17,6%. Un numero spaventoso se si pensa che parliamo di quasi 700.000 studenti a rischio.

Chi sono questi ragazzi? Dove abitano? Perché arrivano a questa scelta? Sono tanti gli interrogativi da porsi per poter iniziare un percorso insieme a loro, per supportarli e motivarli.

È stato di recente pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) il rapporto Education at a Glance 2014, la relazione annuale che fotografa la situazione dell’educazione nei Paesi industrializzati, tra cui l’Italia.

Nonostante la grande risonanza mediatica a seguito della pubblicazione del Rapporto, i dati emersi dallo studio riguardo al nostro Paese rimangono sostanzialmente inalterati rispetto agli anni passati: l’accesso all’istruzione, l’uguaglianza tra gli studenti e la qualità dell’educazione sono ancora ben lontani dagli standard di un Paese industrializzato. 
Non sorprendono quindi l’elevata percentuale di NEET  – giovani che non lavorano e che non sono inclusi in un processo di formazione o istruzione –  presente nel nostro Paese, la scarsa qualità delle performance in matematica degli studenti italiani e l’esiguo numero di giovani iscritto all’Università. Quello che dovrebbe sorprendere, piuttosto, è che un Paese che dovrebbe reggersi sulla professionalità e sulla competenza non riesca a ridurre in modo significativo il numero di ragazzi che abbandonano prematuramente la scuola e che quindi va ad aumentare le fila dei precari, dei disoccupati, dei sottopagati.

Proprio in questi giorni, alla vigilia della riapertura delle scuole, sono molti i ragazzi che si pongono la stessa domanda: “perché studiare se poi non trovo lavoro?”


Innanzitutto, uno dei motivi per cui anche i laureati non trovano lavoro è il mancato investimento in quei settori in cui chi ha studiato all’Università può trovare sbocchi: cultura, nuove tecnologie, green economy etc. Tuttavia, anche se i laureati – quelli che non vanno all’estero – fanno fatica a trovare un impiego, chi è in possesso di una laurea o di un diploma ha comunque meno probabilità di rimanere disoccupato di un non diplomato (fonte OECD: 6%, 8% 12% rispettivamente).

Non parliamo poi del fatto che un laureato guadagna più di un diplomato e questi più di un non diplomato.
Per i prossimi anni è previsto un calo consistente dei laureati in medicina e già oggi è difficile trovare diplomati e laureati in settori ad alta specializzazione. Quindi studiare serve. Ma la scuola sembra aver smarrito il suo compito principale, che è promuovere e non bocciare, offrendo a tutti la possibilità di fare un passo avanti dalla posizione sociale ed economica nella dalla quale partono. Questo significa accompagnare coloro che si fermano alla terza media fino alla formazione professionale, dare a tutti l’opportunità di diplomarsi e ai diplomati di accedere alla educazione universitaria. Perché l’educazione è un diritto e come tale dev’essere garantito universalmente.

Per questo occorre affrontare il problema della dispersione scolastica, un fenomeno che nel nostro Paese ha dimensioni allarmanti, collocando l’Italia come fanalino di coda in Europa. Proprio per conoscere meglio i numeri di questo fenomeno – che contribuisce tra l’altro ad aumentare l’esercito dei NEET –  WeWorld Intervita, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Agnelli  e l’Associazione Bruno Trentin ISF IRES della CGIL, presenterà il 14 ottobre prossimo al Ministero dell’Istruzione a  Roma un’indagine (“Lost. Dispersione: il costo per la collettività ed il ruolo di scuole e terzo settore”) sui costi della dispersione scolastica e il valore delle azioni delle scuole  e del terzo settore per affrontarla.


Al di là delle valutazioni di ordine etico, una delle questioni prioritarie consiste nel trovare le strategie e le risorse giuste per affrontare efficacemente il problema della dispersione scolastica: se non si inizia oggi a tenere i ragazzi a scuola, infatti, in futuro non ci saranno più medici, ingegneri e tante altre figure professionali fondamentali per costruire un Paese migliore. Perché il possesso di un patrimonio di conoscenze è oggi il più potente fattore di capitale umano che le nazioni possono usare per migliorare il loro benessere.

Ecco perché nel mese di ottobre Frequanza2000 organizzerà la presentazione dei risultati della ricerca nazionale –  promossa insieme a noi da Fondazione Giovanni Agnelli e Associazione Bruno Trentin – CGIL – sulla rilevazione dei costi della dispersione scolastica e dell’impegno economico (e non solo) del terzo settore.

Pasquale Almirante

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