Attualità

“Fuga dalla libertà”: un libro per insegnare educazione civica (educando alla libertà)

Perché oggi solo pochi s’impegnano nella difesa di democrazia e libero pensiero? Perché i docenti sembrano in gran parte accettare quanto loro imposto, quasi avessero già rinunciato alla propria libertà d’insegnamento (e di coscienza)?

1941: in piena guerra il filosofo, psicanalista e sociologo Erich Fromm pubblicava negli USA il suo Fuga dalla libertà (“Escape from Freedom”). Ristampato oggi da Mondadori, è un’opera fondamentale per l’educazione civica nella scuola superiore.

Esponente della Scuola filosofica e sociologica di Francoforte, Fromm ne riassume in sé la capacità (forse unica nel ‘900) di fondere sociologia, filosofia, psicologia, economia per plasmare una concezione poliedrica dell’essere umano, partendo dalla critica radicale della società contemporanea. Infatti nella Scuola di Francoforte — formata nel 1923 dagli studiosi dell'”Istituto per la Ricerca Sociale” dell’Università Goethe di Francoforte — nacquero le idee di menti eccelse: per citarne solo alcuni, Franz Oppenheimer, Herbert Marcuse, Walter Benjamin, Max Horkheimer, Friedrich Pollock, Karl A. Wittfogel. I loro studi ebbero molta eco nei movimenti giovanili degli anni ‘60 e ‘70, e sono tuttora validi.

Perché l’umanità sembra non voler essere libera?

Fuga dalla libertà” fu stampato quando Fromm aveva 41 anni. Lo studioso aggiornò poi il testo nel 1969. Il linguaggio è scientificamente ineccepibile; eppure risulta lineare e comprensibile anche a lettori non specialisti. L’Autore si chiede perché, dopo le grandi rivoluzioni dell’età contemporanea, l’umanità sembri quasi ovunque voler fuggire dalla libertà conquistata, come fosse incapace di trasformare la “libertà da” (emancipazione dalle vecchie oppressioni) in “libertà di” (attitudine a progettare il proprio futuro nella costruzione della felicità e dell’armonia tra gli individui, nella realizzazione del sé e nell’unione con un mondo rinnovato e pacificato).

La “patologia della normalità”

Osservando la psicologia individuale, Fromm scopre che i suoi stessi meccanismi si ritrovano nella psicologia sociale. Gli individui “normali” sono — dal punto di vista di una determinata società — quelli capaci di svolgere il ruolo sociale che sono tenuti ad assumere in quella società: lavorare nel modo richiesto, allevare figli. Invece «dal punto di vista dell’individuo, consideriamo sanità o normalità l’optimum dello sviluppo e della felicità del singolo». Tuttavia i due concetti di “normalità” spesso non coincidono, generando infelicità e nevrosi. Anche perché è considerato “normale” chi è adattato ai valori di una certa società (benché spesso meno “sano” del “nevrotico” dal punto di vista dei valori umani).

Perché i totalitarismi?

Perché milioni di tedeschi e italiani sostennero Hitler e Mussolini, rinnegando tutto il precedente millenario cammino verso la libertà? Perché i regimi totalitari? Perché nelle “democrazie” regnano nevrosi, conformismo, omologazione? Perché — aggiungeremmo noi — la categoria docente italiana sta gradatamente rinunciando alla democrazia scolastica senza battere ciglio?

Fromm ricapitola il senso di vuoto vissuto dall’umanità al tramonto delle certezze ideologiche medievali e all’alba della società capitalistica. L’uomo si sentì libero dai precedenti sistemi di potere, ma questa libertà innescò in molti un senso di vuoto: quel vuoto di fronte al quale si è tentati di fuggire in preda al panico. Una risposta a questo panico è il desiderio di sottomettersi a nuovi poteri forti, sviluppando una mentalità autoritaria che spinge a piegarsi ai superiori e a dominare gli inferiori (con meccanismo simile a quello sadomasochista e distruttivo).

Psicologia del nazismo

Infatti — dimostra Fromm partendo da Marx e Freud, ma superandoli — il modo di vita di una determinata società genera il carattere sociale; questo a sua volta determina ideologie e cultura, e diviene forza produttiva che rimodella il modo di vita della società stessa, modificandola nel tempo.

Tra ‘400 e ’500 il collasso della società medievale fece sentire minacciata la classe media europea, provocandone quel senso di isolamento e impotenza che la spinse verso luteranesimo e calvinismo; ne nacque un nuovo carattere sociale, la forza produttiva che sviluppò il capitalismo.

Qualcosa di simile accadde dopo il 1918, quando la classe media inferiore tedesca, spaventata e disorientata da sconfitte e crisi economiche, aderì al nazismo, che intercettò la sua paura per trasformarla in autoritarismo e distruttività bellicista. Con le ben note conseguenze.

“Liberi da” o “liberi di”? La libertà come spontaneità e amore

L’individuo è tentato di fuggire dalla propria libertà se non riesce a sentirsi “libero di”. Se non sa trovare nell’armonia e nel lavoro con gli altri la propria nuova e più appagante libertà, si chiude in se stesso; come fa il nevrotico che, per reagire all’angoscia che lo attanaglia, si costringe a rituali irrazionali e a ossessioni che costituiscono una corazza contro l’angoscia stessa, e che sono il sintomo del panico incombente.

La soluzione è costruire una società che miri alla libertà dell’individuo di realizzarsi nell’incontro col prossimo, nell’amore e nella disponibilità al rispetto reciproco.

Prospettiva affascinante, comprensibile solo a chi legga questo libro (così come anche gli altri capolavori di Fromm), e che può spalancare gli occhi degli adolescenti su panorami prima inimmaginabili.

Alvaro Belardinelli

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