A tal proposito riportiamo fedelmente il pensiero di Roberto Cingolani (già espresso in un suo incontro pomeridiano, tenutosi sabato 11 gennaio 2014, con gli studenti di un liceo genovese), anche per sgombrare ogni malinteso interpretativo rispetto ai contenuti riportati da alcuni successivi articoli di stampa, come quello de Il Secolo XIX e quelli di altri siti web di informazione scolastica.
Cingolani dice: “Andare all’estero è importantissimo, anzi direi quasi obbligatorio per un giovane che voglia fare il ricercatore. L’esperienza all’estero è essenziale per i giovani ricercatori non necessariamente perché all’estero “tutto è meglio” , ma perché è necessario vedere e operare in realtà diverse per potersi sprovincializzare. La mobilità dei ricercatori è la linfa della ricerca internazionale e va assolutamente incoraggiata anche in Italia. Il problema reale non è la fuga dei cervelli ma il loro mancato rientro dopo anni di esperienza oppure, cosa ancor più grave, la mancanza di bilanciamento fra cervelli italiani che escono (vanno all’estero) e cervelli stranieri che entrano (vengono a fare esperienza in Italia). Come detto, sarebbero necessarie due cose: 1) incoraggiare i giovani ad andare all’estero facendoli poi rientrare e, 2) attrarre giovani dall’estero in Italia per perfezionarsi. Per ottenere questi risultati, occorre innanzitutto creare le condizioni e le regole per consentire il rientro dei cervelli. Le stesse condizioni e regole necessarie a rendere attrattiva l’Italia ai giovani stranieri che volessero venire a fare esperienza da noi:
• Infrastrutture di ricerca stato dell’arte (visione strategica degli investimenti in ricerca e grandi laboratori)
• Meccanismi di reclutamento internazionali (non bandi in gazzetta ufficiale scritti in italiano ma call internazionali, interdisciplinarità e meno raggruppamenti disciplinari, flessibilità dei contratti)
• Carriera dei ricercatori e valutazione internazionale delle attività (per es. tenure track)
• Salari a standard europeo (evitando la stabilizzazione dopo 36 mesi, che nella ricerca non funziona bene, ma trattando meglio il ricercatore giovane)
• Burocrazia snella, perché nella ricerca il tempo (la velocità) conta quanto il denaro.
Tutto questo richiede ovviamente investimenti, ma anche burocrazia adeguata alla competizione internazionale. Insomma dal mio punto di vista nessun negazionismo del problema della fuga dei cervelli, ma un richiamo al fatto che la fuga per sé non è il problema, bensì una conseguenza di altre storture. Se non saremo disposti ad accettare i cambiamenti resteremo poco attrattivi. I giovani stranieri non verranno da noi, non bilanceremo il flusso entrante e quello uscente e non riusciremo nemmeno a far rientrare i nostri cervelli”.
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