Sono circa un miliardo e mezzo i bambini e gli adolescenti in più di 190 paesi al mondo (il 94% della popolazione studentesca mondiale) che hanno subìto un’interruzione educativa nei due anni di pandemia. Secondo l’Istat, il 12,3% dei minori tra i 6 e i 17 anni non ha avuto a disposizione durante la pandemia né pc né tablet, strumenti fondamentali per restare al passo della didattica a distanza. In alcune regioni del Mezzogiorno d’Italia, la percentuale arriva al 19%. Anche di questo si parlerà nel corso del G20 di oggi a Catania, che vede protagonista l’Italia e il ministro Bianchi. Ne daremo conto anche nel corso della diretta della Tecnica della scuola Live, oggi alle 17:20, quando inizierà la conferenza stampa del Ministro.
Nei fatti, una frenata degli apprendimenti significa risultati insoddisfacenti sul fronte delle competenze di base, da quelle linguistiche a quelle matematiche, fino alle competenze digitali.
Dall’ultima indagine di Save the children, condotta su un campione di 772 bambini di 13 anni, che frequentano l’ultima classe della scuola secondaria inferiore, in 11 città e province italiane, pare che più di un alunno ogni dieci non abbia un personal computer; un bambino su dieci non ha mai utilizzato i dispositivi digitali per fare i compiti; otto su dieci dichiarano di non aver mai utilizzato il tablet a scuola; percentuale che scende al 32.5% per la lavagna interattiva multimediale (LIM).
Andando ad analizzare nel dettaglio la dimensione maggiormente legata
all’alfabetizzazione digitale, circa il 10% degli studenti che hanno partecipato all’indagine pilota non è in grado di riconoscere una password di sicurezza; l’11% invece non sa condividere uno schermo durante una
chiamata con zoom; il 32.8% non è invece capace di inserire un link interattivo in un file di testo ed il 29.3% di scaricare un documento condiviso da un insegnante sulla piattaforma della scuola.
In Italia l’incidenza del rischio povertà ed esclusione sociale è del 27,8%,
maggiore che in Lituania e comunque superiore alla media europea del 23,4%. Contro il 15% della Germania. Altrettanto drammatico il dato della dispersione scolastica. La percentuale degli ‘Early School Leavers’, ovvero i giovani che sono arrivati alla maggiore età senza aver conseguito il diploma superiore e avendo lasciato prematuramente ogni percorso di formazione, in pandemia potrebbe avere raggiunto il livello medio del 20%, cifre che costituiscono un ritorno indietro, ai tempi della crisi economico-finanziaria del 2008.
Di quella crisi il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha argomentato nel suo volume Nello specchio della scuola facendo notare: “Fra il 2009 e il 2012, mentre il mondo si stava attrezzando per uscire dalla prima crisi globale e cogliere le opportunità legate alla transizione tecnologica, l’Italia è rimasta impantanata nella crisi fiscale e politica dello Stato, tagliando in maniera significativa le risorse per educazione e ricerca”. I dati sulla dispersione scolastica potrebbero essere conseguenza anche di quella mancata lungimiranza sulla quale oggi i Governi di tutto il mondo sono chiamati a discutere.
Così ci ritroviamo in una condizione nella quale, mentre nell’Unione europea il 78,7% della popolazione fra i 25 e i 64 anni ha almeno un diploma di scuola superiore, questo dato in Italia scende al 62,2%. Sono i dati Istat 2020 che ne danno conto.
Nel Mezzogiorno si laurea circa un giovane su cinque, contro poco meno di uno su tre del Centro-Nord.
E poi ci sono i cosiddetti NEET (Neither in Employment nor in Education and Training), cioè i giovani che non lavorano né sono inseriti in un percorso scolastico o formativo. Riferisce il Ministro nella sua elaborazione: “Il popolo dei NEET in Italia è salito alle stelle durante la recessione del 2009, poi ha cominciato a scendere a partire dal 2015, ma dopo dieci anni la quota di NEET in Italia è la più elevata tra i paesi dell’Unione: l’ISTAT sostiene addirittura che nel 2018 i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione siano in Italia 2 milioni e 116.000, pari al 23,4% del totale, contro il 12,9% dell’UE.
Sempre dal volume Nello specchio della scuola, il Ministro: “Se l’aspetto più noto della dispersione è quello esplicito, è la dispersione implicita a preoccupare, dato che i suoi effetti a livello individuale e collettivo sono tutt’altro che irrilevanti. I dispersi «impliciti» sono infatti coloro che,
anche se conseguono un titolo o un diploma, non possiedono le competenze adeguate ad affrontare in maniera agevole la vita adulta.
I risultati delle rilevazioni nazionali dell’INVALSI [2019] ci dicono che la dispersione scolastica implicita è un problema che riguarda un ragazzo su cinque.
Alla licenza media, quasi un ragazzo su tre non raggiunge il livello adeguato di competenze (in base alle Indicazioni nazionali) nella comprensione di un testo in italiano e nella soluzione di un problema di matematica; mentre all’età del diploma, questo esito negativo riguarda nel Sud e Isole il 50% dei ragazzi per la lingua italiana e il 60% per la matematica“.
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