Il servizio militare (nonché quello civile) deve essere riconosciuto nelle graduatorie scolastiche, sia dunque nelle Gae, nelle GPS che nelle graduatorie d’istituto.
E’ quanto ha recentemente affermato la Corte di Cassazione con ordinanza depositata il 31 maggio 2021, confermando un orientamento ormai costante (Cass. n. 5679/2020).
Il principio del riconoscimento del servizio militare è enunciato a chiare lettere nel Testo Unico della Scuola (D. Lgs. n. 297/1994) che, all’art.485, comma 7, dispone: “il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti”.
Per l’Amministrazione tale regola riguarderebbe solo la ricostruzione di carriera (dunque gli insegnanti di ruolo) e non le graduatorie per le supplenze, sebbene l’art. 485 preveda in modo inequivocabile che il principio abbia carattere generale (valido a tutti gli effetti).
Fatto sta che nei decreti ministeriali di aggiornamento delle graduatorie -e nella stessa O.M. n.60/2020 che ha istituito le GPS- è previsto il riconoscimento del servizio militare solo se “prestato in costanza di nomina”, circostanza del tutto aleatoria e piuttosto difficile da verificarsi in concreto.
Già da tempo il giudice amministrativo ha osservato che col criterio seguito dall’Amministrazione “si finirebbe per favorire solo coloro che abbiano avuto la buona sorte di effettuare il servizio militare durante l’espletamento di un servizio d’insegnamento e non anche coloro che avrebbero comunque potuto ricevere i medesimi incarichi d’insegnamento senza poterli accettare trovandosi alle armi”.
“La portata assolutamente generale del 7° comma dell’art. 485 D. Lgs. 297/1994 che non è connotata da limitazioni di sorta, comporta che il riconoscimento del servizio debba necessariamente essere applicato anche alle graduatorie, onde evitare che chi ha compiuto il proprio dovere verso la nazione si trovi poi svantaggiato nelle procedure pubbliche selettive” (TAR Lazio, n. 6421/2008, 8 luglio 2008)
Il principio affermato dal TAR Lazio è stato poi confermato e ribadito dal Consiglio di Stato con ordinanze seriali, che hanno ritenuto che “la limitazione della valutabilità del servizio di leva non appare legittima, introducendosi un’irragionevole disparità di trattamento di posizioni omogenee” (cfr. C.d.S. n. 4028, n. 4031, n. 4032 del 31 luglio 2009).
Col nuovo riparto di giurisdizione, di tali controversie si è dovuto occupare il Giudice del lavoro, che ha in larga parte condiviso le posizioni del Giudice amministrativo, fino ad arrivare alle citate pronunce della Corte di Cassazione.
Com’è noto, l’interpretazione della legge non è sempre uniforme, in quanto spesso ci si trova di fronte a pronunce di senso opposto, circostanza che, per i non addetti ai lavori, crea un comprensibile disorientamento.
La Corte di Cassazione ha appunto il compito di stabilire qual è l’interpretazione corretta da attribuire ad una determinata norma e, in questo caso, ha affermato a chiare lettere che il servizio militare deve essere riconosciuto “senza se e senza ma”.
Ebbene, dopo tante decisioni della Magistratura (e persino dopo due pronunce della Corte di Cassazione), il Ministero rimane fermo sulle proprie posizioni, rifiutando di adeguarsi a quanto stabilito dal più alto organo giurisdizionale.
Si tratta di un comportamento davvero inspiegabile, soprattutto in considerazione del fatto che – in altre occasioni- l’Amministrazione si è conformata all’orientamento giurisprudenziale (per esempio, riconoscendo il valore abilitante del diploma magistrale nelle graduatorie d’istituto, o disapplicando la disposizione del Testo Unico che prevedeva l’elezione dei collaboratori del Dirigente Scolastico da parte del Collegio dei docenti).
Eppure, l’adeguamento all’interpretazione giudiziale non avrebbe alcuna conseguenza sul piano erariale e potrebbe ridurre (almeno in parte) l’enorme mole di contenzioso che grava sull’Amministrazione.
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