In questi giorni si è parlato molto del tema dell’inclusione scolastica, soprattutto dopo le parole dello storico Ernesto Galli della Loggia. Le parole sono particolarmente dure: “Nelle aule italiane – caso unico al mondo – convivono regolarmente, accanto ai cosiddetti allievi normali, anche ragazzi disabili gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i BES (bisogni Educativi Speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un PDP, Piano Didattico Personalizzato e, infine, – sempre più numerosi – ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola di italiano. Il risultato lo conosciamo”.
Da qui tutta una serie di reazioni, polemiche e non. A dire la sua, a Il Corriere della Sera, è stato il pedagogista Daniele Novara. “Pur giustificandosi scrivendo che nel suo articolo della settimana precedente si era espresso male e che la sua intenzione non era affatto quella di auspicare il ritorno alle classi differenziali di un tempo, il proseguimento della lettura rende più chiare le sue idee. E stavolta non lo si può proprio ignorare”, ha scritto.
“Il principio dell’integrazione come lo conosciamo e che ha portato l’Italia a riconoscimenti straordinari in tutto il mondo, secondo Galli della Loggia, è semplicemente sbagliato. La Legge 517/1977 prevedeva – e prevede – l’inserimento nelle classi ‘normali’ di alunni con disabilità di vario tipo (motoria, intellettiva o, tanto più oggi, psicoemotiva) partendo dal presupposto che la compresenza e l’attività comune con gli altri alunni favorisse la loro crescita, il loro apprendimento e il loro sviluppo. Mentre isolarli in un ambiente formato solo da figure con patologie e disabilità più o meno analoghe non avrebbe, così come scientificamente sappiamo, migliorato le loro sorti. Da un lato si trattava di un’azione di civiltà, dall’altro di un’azione strettamente scientifico-pedagogica, che quasi tutti i Paesi europei hanno poi seguito”.
“Riconosco che questa Legge così importante, che addirittura prevedeva la co-titolarità della classe fra insegnante curriculare e insegnante di sostegno, è senz’altro stata ampiamente svilita e applicata male, se non malissimo. Se ne può parlare, ma non certo per ritornare come in un gioco dell’oca al punto di partenza rimettendo i disabili, specialmente quelli che dispongono della Legge 104 sulla disabilità (attualmente il 4% della popolazione scolastica italiana), in un contesto esclusivamente per loro e quindi di profonda discriminazione rispetto ai loro compagni e coetanei”.
Manca la pedagogia nelle scuole
“Il punto di partenza non è tanto, o principalmente, la formazione, pur necessaria, del cosiddetto insegnante di sostegno, quanto la formazione pedagogica dell’insegnante stesso che necessita della capacità di lavorare con gradi di preparazione scolastica sempre più diversificati. Per farlo, deve evitare di pensare all’ancien régime del programma a tutti i costi e puntare sull’apprendimento degli alunni, sui loro progressi più che sui loro errori e specialmente disporre di un metodo pedagogico che consenta tutto questo in stretta collaborazione e in co-titolarità con l’insegnante di sostegno”.
“Paradossalmente, la Legge viene disattesa per un deficit pedagogico e non, come Galli della Loggia ritiene, per un eccesso pedagogico. Perché? Per il fatto che la pedagogia è scomparsa dalle scuole. Il nostro è l’unico Paese in Europa che non ha figure pedagogiche nelle istituzioni scolastiche. E pensare che è proprio la pedagogia la scienza che fa da background per antonomasia all’istituzione scolastica stessa. Quindi, come la medicina negli ospedali o l’architettura nelle città, sarebbe la scienza applicata deputata a governarne i processi di gestione. Invece, da un lato noi pedagogisti siamo stati allontanati e dall’altro la scuola si è rifugiata da un lato in processi di amministrazione pura e semplice e dall’altro utilizzando le neurodiagnosi come succedaneo educativo. In questo modo, il numero di disabili, 104, DSA (disturbi dell’apprendimento) e BES (Bisogni Educativi Speciali) è dilagato. L’esplosione di tutto questo mondo di ‘alunni disturbati’ è concomitante all’allontanamento dalla scuola della pedagogia in qualità di scienza pratica. Pensare che una Legge gestita male sia sbagliata e ipotizzare il ritorno a uno stato precedente è come chiedere il ripristino della pena di morte solo perché ci sono troppi delinquenti in giro”, ha concluso.
Classi speciali sì o no? Il sondaggio della Tecnica della Scuola
Quasi la metà degli insegnanti italiani sembrerebbe d’accordo con l’introduzione delle classi “speciali”, formate da alunni con disabilità, problemi di apprendimento e stranieri che non parlano quasi l’italiano, riproposte alcuni giorni fa dal professore Ernesto Galli della Loggia poiché questi studenti rallenterebbero la didattica in classe. Le percentuali emergono da un ampio sondaggio della rivista specializzata La Tecnica della Scuola, al quale hanno partecipato circa 1.300 lettori: ebbene, sarebbe d’accordo nel riproporre le classi “speciali” a scuola dopo 50 anni circa il 40% dei docenti. A essere più in disaccordo sono stati invece gli studenti, seguiti dai genitori e dalla categoria “altro”.
All’indagine hanno partecipato per la maggior parte docenti (72.5%), seguiti da genitori (14.6%), altro (10%) e studenti (2.9%).