Prendiamo spunto da alcuni articoli di commento: 1) “E se ricominciassimo a lasciare indietro qualcuno?” di Annamaria Indinimeo (Ilssudiario.net, 12 maggio 2017), 2) “L’errore dei nostalgici e l’anno jolly che può salvare i giovani” di Sergio Bianchini (il sussidiario.net, 14 maggio 2017) , 3) “Ernesto Galli della Loggia, le bocciature e la cassa integrazione” di Stefano Stefanel (edscuola.eu, 15 maggio 2017). Gli autori sono tre presidi, Sergio Bianchini è in pensione da poco.
Cominciamo dal titolo del primo articolo sopra richiamato: “E se ricominciassimo a lasciare indietro qualcuno?”. L’autrice chiaramente è a favore delle bocciature da ripristinare o aumentare, anche se lo propone in forma solo in apparenza interrogativa e attenuata “lasciare indietro”.
l titolo virgolettato, e quindi non redazionale, omette e nasconde il soggetto plurale “noi” che dovrebbe re-innescare la severità o la valutazione giusta.
Conviene riflettere su questo “noi” sottinteso. Succede spesso che parlando di scuola non si indichi con precisione a chi ci riferisce, il lettore può intendere chi vuole ma spesso è indotto in confusione o in errore. Succede che se la cose non vanno al presente, il “noi” sottinteso etichetta i docenti (fannulloni, impreparati, tre mesi di vacanze, mezza giornata, e altre simili scemenze inerziali e coltivate), se invece ci riferisce a cose belle e al futuro, il “noi” riguarda il governo, il ministro, fino ai presidi potenti o passacarte quando chiedono il rinnovo del CCNL.
Nello specifico non viene esplicitato chi dovrebbe prendere iniziativa e responsabilità di “lasciare indietro qualcuno”. Presumibilmente la preside Indinimineo con il “noi” intende indicare i docenti che nell’articolo vengono chiamati in causa più volte. Indinimineo ignora la situazione della scuola descritta da Galli della Loggia, che è precisa e condivisibile anche in ordine alle cause che l’hanno prodotta. La preside sembra ammonire i docenti: “noi DS abbiamo individuato i punti critici, ora provvedete voi”, così riproduce verso i docenti lo stesso comportamento che i presidi criticano verso il Miur (vedere il caso attuale della preside Franca Principe). Ovviamente questo “ricominciare a lasciare indietro” è solo a livello di bella idea, di affascinante ipotesi, non risulta nessun programma con l’indicazione tempi, risorse, verifiche e quant’alto serve.
Solo in zona Cesarini, nell’ultimo paragrafo, la preside fa cenno a una alternativa possibile alla situazione attuale, quando ipotizza “di passare da un anno all’altro anche con una o due insufficienze ma in modo palese e con una penalizzazione chiara del credito”.
Nel secondo articolo citato, Sergio Bianchini parla di “errore dei nostalgici” e formula all’articolo della Indinimineo le mie stesse osservazioni critiche: “la scelta di reintrodurre la bocciatura nella scuola di base – fino alla terza media – è assolutamente impossibile”. Lo stesso Bianchini rimarca un aspetto ignorato della nostra scuola e cioè la gravosità – più 25%, almeno sulla carta – del “curricolo annuale (che) in Italia è il più pesante d’Europa (1000 ore contro le 800 medie)“. In altre parole, vogliamo fare di più, ma finiamo a fare di meno e però certifichiamo falsamente.
Anche Bianchini, come Eugenio Tipaldi, si pone interrogativi critici sulla scuola media unica del 1962 e rimanda a quanto scrisse nel 2012:
“La scuola media unica del 1963 nasceva con grandi contraddizioni. Improvvisamente due fiumi da sempre distinti confluivano. Il grande fiume dei futuri lavoratori del braccio (ancora grande maggioranza) confluiva nelle stesse classi col fiumicello dei giovani destinati o intenzionati a proseguire gli studi e raggiungere mansioni e lavori più qualificati. Inevitabilmente gli standards di apprendimento si abbassavano rispetto alla vecchia media ginnasiale e nelle prime classi di liceo o di istituto tecnico cominciarono ad arrivare alunni molto meno preparati di prima. Nella media unica la diatriba tra valutazione selettiva (con massicce bocciature) propedeutica alle superiori e logica promozionale è durata 30 anni. Ma ovviamente i sostenitori della bocciatura anche di massa per chi non raggiungeva i livelli del passato erano destinati alla sconfitta”.
Sul ritorno bocciatura, pur impossibile, ma ventilato dai nostalgici sulla scia di Galli della Loggia, si possono aggiungere altre due considerazioni.
La prima è che indubbiamente la bocciatura registra un insuccesso, un fallimento o una colpa, che viene imputata allo studente (a volte anche al docente) da espiare mediante ripetenza. In realtà la responsabilità del fallimento scolastico è molteplice, riguarda e coinvolge altri soggetti e situazioni, che sarebbero assolti o non puniti dall’ipotesi bocciatura. Per chiarire e meglio spiegare, tentiamo un paragone con quanto avviene in alcune mense scolastiche.
In proposito riportiamo una citazione: «Prendiamo nota giornalmente dei piatti poco consumati e non graditi. Cerchiamo quindi, le volte successive, di cucinare gli stessi alimenti in modo da renderli più appetibili», specifica la Paci, che prova a chiarire il quadro fornendo alcuni dati sugli scarti. «Nel menu autunno-inverno 2015/2016 – prosegue – il livello medio di scarti rilevati dalla ditta Camst è tra il 10 e il 30 per cento, vale a dire che da 1 a 3 utenti su 10 non hanno consumato l’intera porzione o alimento».
I gestori delle mense si preoccupano, considerano pragmaticamente il gradimento o meno degli alimenti proposti. Perché non adottare un approccio simile anche per la didattica e per le materie insegnate? Cioè contenuti flessibili, didattica idonea, consistenza dei programmi adeguata ma non eccessiva con riferimento alla segnalata gravosità del nostro curricolo pari, a + 25% rispetto alle medie UE (dati comunque da verificare e situazione da verificare).
Insomma la bocciatura appare come residuo, coda (forse dura da scuoiare) di una scuola non più attuale, la scuola delle bacchettate e delle punizioni corporali, una scuola non riproponibile e che non può tornare. La scuola di massa, davvero per tutti, non può essere così, con punizioni psicologiche e, incidentalmente, non può essere nemmeno la buona scuola della legge 107.
Veniamo al terzo articolo citato all’inizio, quello di Stefano Stefanel, preside di liceo scientifico a Udine.
Stefanel è fortemente ed esplicitamente critico sia nei confronti di Galli della Loggia che accusa di superficialità, sia della tesi da lui sostenuta delle poche bocciature italiane e dell’idea che più una scuola boccia, più questa scuola è buona, di qualità.
Così scrive Stefanel: “Il sistema italiano boccia e non sa cosa fare dei bocciati, …. senza che vi sia un sistema organizzato di recupero …. Ogni bocciatura ci costa dai 15.000 ai 30.000 euro l’anno (dati Ocse) e questo conto non solo non ci spaventa, ma quasi ci convince che più soldi buttiamo più siamo seri e rigorosi”. Su questo si può concordare, in quanto il riferimento è al numero assoluto delle bocciature e basta. Invece Galli della Loggia e altri commentatori fanno riferimento alla congruità delle bocciature riferita agli apprendimenti. In altre parole, risulta che promuoviamo troppo e bocciamo poco rispetto agli apprendimenti; ciò avviene mediante l’uso inflazionato del voto di consiglio e per le motivazioni giustamente elencate da Galli della Loggia. Il nocciolo della questione è come uscire da questo avvitamento ormai stretto e saturo. Lo scoglio enorme è costituito dai decisori politici (governo e Miur) sicuramente restii e ottusi verso il riconoscimento della situazione reale.
Il riferimento di Stefanel agli “800.000 insegnanti non valutati” trova risposta nella seconda parte (quella precedente, datata 16 maggio) di questo scritto. Per quanto riguarda i “6.000 dirigenti non valutati”, bisogna segnalare la decisa contrarietà dei presidi interessati ad esserlo e il fatto che gli stessi sono scesi in agitazione già da aprile con lo slogan minaccioso “la rabbia dei presidi”: rivendicano maggiori poteri e chiedono più soldi, ma insieme contestano l’aggravio di compiti e di responsabilità che pure giustificano i poteri e i soldi rivendicati.
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