Fin qui, ovviamente, non c’è nulla di male: le opinioni – se argomentate e sostenute da prove e dati di fatto – sono tutte legittime e meritevoli di essere messe a confronto. Ma le motivazioni che il nostro lettore porta a suffragio della sua posizione ci sembrano francamente molto deboli se non addirittura fuorvianti.
Dice il nostro amico lettore: “Prendiamo esempio dal mondo dello sport, in particolare di quello più amato in Italia: il calcio. Per praticare l’inclusione si dovrebbero abolire le varie serie A, B, C… Tutti dovrebbero giocare indistintamente insieme, mescolando i grandi campioni con chi campione non è e magari non lo sarà mai perché non ha la stoffa”.
Sinceramente un esempio peggiore non si potrebbe fare.
Ora, è del tutto evidente che a nessun dirigente sportivo di serie A (ma anche della Promozione regionale) verrebbe in mente di mettere nella stessa squadra il Pelé della situazione insieme con il Peppino che fa la riserva nel Roncobilaccio.
Ma, per la verità, il paragone non regge minimamente per un motivo del tutto ovvio: obiettivo dell’Inter o della Juventus è quello di vincere il campionato di serie A e di poter giocare nei tornei internazionali e non altro.
Obiettivo della scuola, intesa sia come sistema che come istituzione scolastica, è invece quello di favorire la crescita di ciascuno e di far diventare tutti quanti cittadini portatori di doveri e di diritti inalienabili.
Niente a che vedere, insomma, con la partecipazione ad una gara fatta per vincere un campionato. Volendo usare ancora la metafora calcistica mi pare che a scuola si possa parlare di partite di calcio del tipo scapoli-ammogliati, partite in cui non si gioca per vincere ma soprattutto per divertirsi e per passare un paio d’ore fra amici.
Tanto è vero che in queste partite non si va troppo per il sottile e tutti quanti giocano tranquillamente anche quelli che magari nulla sanno del fuori gioco o degli schemi tattici 4-3-3 o 5-4-1. Ho visto con i miei occhi partite del genere con attaccanti con il fiatone dopo 10 minuti di gioco o di difensori zoppicanti.
E a fine partita c’è persino qualcuno che chiede al “capitano” della propria squadra: “Ma abbiamo vinto o abbiamo perso?”
Insomma la scuola è un’altra cosa, non c’entra nulla con lo sport, soprattutto con quello agonistico. A scuola non si va per vincere, ma per imparare la matematica e la storia e anche le regole dello stare insieme, esattamente come in una partita fra scapoli e ammogliati dove si può benissimo giocare anche se si ha il fiatone ma non si può fare a cazzotti con l’avversario.
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