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Gap laureati-diplomati sempre più sottile: solo 120 euro

Solo 120 euro lordi al mese, pari 1.600 euro l’anno. Ovviamente sempre lordi. Una differenza sottile è quella che dividerebbe, almeno a leggere il Rapporto 2008 di Unioncamere, la retribuzione degli impiegati diplomati da quella dei laureati. Ed un gap simile è quello che differenzia la busta paga di un lavoratore non qualificato in possesso della sola licenza media e un “dottore” che ha investito anni e sacrifici sui libri e a seguire lezioni accademiche (oltre che soldi all’università).
Non è la prima volta che indagini di questo genere confermano la tendenza all’uniformazione degli stipendi. La differenza è che stavolta a segnalare l’appiattimento delle buste paga è un organo super partes che non ha alcun interesse a rivendicare posizioni o a dare indicazioni utili ad una o l’altra categoria.
Quella di Unioncamere è una fotografia del reale. E come tale, piaccia o meno, va presa sul serio perché emblematica su come merito e qualità non sempre vengano adeguatamente compensati in ambito lavorativo. Questo “appiattimento” verso il basso dei salari dei lavoratori italiani è il sintomo più evidente della “scarsa attenzione – commentano i realizzatori dello studio – al merito che caratterizza il mercato del lavoro nel nostro Paese“.
Gli esperti di economia ci dicono che questo fenomeno è tipico di Paesi con bassa crescita della produttività. “In un quadro di grande difficoltà – ha detto il Presidente dell’ente pubblico che ha il compito di rappresentare e curare gli interessi generali delle Camere di Commercio italiane, Andrea Mondello – l’Italia è chiamata a fare una scelta forte in favore della modernità e del merito. I nostri dati ci indicano un pericoloso appiattimento del livello retributivo che segnala un paese disattento al valore dello studio e delle competenze, che rischia di mortificare le migliori risorse su cui può contare per rilanciarsi. La bassa crescita che ci attendiamo per il 2008 mette a rischio la tenuta sociale del Paese. Questa situazione colpisce i più deboli“.
Come se non bastasse, infatti, il problema dei 120 euro lordi al mese di differenza tra un impiegato diplomato o laureato e un lavoratore non qualificato è solo la punta dell’iceberg: Unioncamere prevede anche per il 2008 il raggiungimento di un Pil ancorato allo 0,5% (con un preoccupante +0,1% nel Sud) e di un ulteriore rallentamento nei grandi progetti di ammodernamento del paese. Le imprese intanto subiscono, nel quadro di una congiuntura internazionale difficile, una selezione “darwiniana” (oltre 390mila le chiusure registrate nel 2007).
Tornando ai redditi, nel 2006 il 47,8% del valore aggiunto è stato distribuito sotto forma di redditi di lavoro dipendente (era il 45,4% nel 2000), si legge nel rapporto, e le retribuzioni per occupato sono passate dai 20.116 euro del 2000 ai 23.633 euro del 2006, con una crescita del 17,5%. Nello stesso periodo l’indice generale dei prezzi ha avuto un aumento del 15,1%, ma i prodotti e servizi acquistati con maggior frequenza sono aumentati del 18,2%. Per questo motivo “i salari sono cresciuti meno che nel resto d’Europa, perché più bassa è stata la crescita della produttività”.
Ma a soffrire di questa situazione sarebbero soprattutto quelli che i sociologi nel periodo del boom economico del secolo scorso chiamavano “colletti bianchi”: lavoratori con una cultura medio-alta che cinquant’anni fa hanno fatto la fortuna propria e del proprio Paese. Oggi non è più così: conduttori di impianti, operai specializzati, professionisti qualificate nelle attività commerciali ed impiegati si ritrovano tutti nello stesso “calderone” stipendiale. Ovvero un budget lordo annuale che va dai 21 e i 23 mila euro. Per l’esattezza, si legge nel rapporto finale di Unioncamere, si va dai 21.170 euro annui di un lavoratore non qualificato ai 22.750 d un impiegato, anche laureato: segnale inequivocabile, ammettono, “di un paese disattento al valore dello studio e del merito e che rischia di mortificare le migliori risorse di cui dispone”.
Se ci si ferma ai freddi numeri sembrerebbe meglio quindi non studiare e tuffarsi subito nel mondo del lavoro: i lavoratori più qualificati e operanti nel settore dei servizi (ne sanno qualcosa i docenti) sono infatti anche quelli a cui vengono fatti con maggiore frequenza contratti a tempo determinato, i quali è stato dimostrato che guadagnano come “atipici” e precari una cifra in media vicina al 15% in meno dei colleghi stabili. 
Se però si fa un ragionamento meno ragionieristico e più a largo raggio ci si rende conto che c’è dell’altro. E che forse vale la pena studiare, non solo per la cultura. La stessa Unioncamere ammette, infatti, che il titolo di studio più elevato può essere determinante sia per trovare più facilmente lavoro che poter progredire in carriera. Avere il mitico “pezzo di carta” permette infatti anche di poter sognare ed ambire ad un posto da dirigente. Un comparto che, invece, non sembra soffrire dalla crisi economica e produttiva: un dirigente italiano guadagna in media oltre 92 mila euro l’anno. Più di tre volte degli impiegati.

Alessandro Giuliani

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