Introdotto nel 1971, il tempo pieno è sempre dipeso dalla richiesta e dalla discrezione delle scuole, e nei giorni scorsi lo stesso presidente Conte ne ha parlato, dicendo che “vi sarà una riforma per garantire il tempo pieno su tutto il territorio nazionale che possa dare effettiva possibilità alle famiglie – e soprattutto alle donne – di inserirsi nel mercato del lavoro”.
Al di là della sua reale funzione diretta al fabbisogno formativo generalizzato e per “contrastare in modo radicale la crescita delle povertà educative”, il tempo pieno dovrebbe essere implementato “perché è indispensabile nel ruolo essenziale che gioca l’istruzione pubblica nella crescita culturale, sociale e dunque anche economica del Paese”.
Sull’Internazionale leggiamo un’interessante analisi su questa lontana innovazione che però non sembra avare fatto fortuna generalizzata nelle nostre scuole.
Infatti, si legge ancora “oggi in Italia due terzi delle ragazze e dei ragazzi che frequentano la scuola di base sono esclusi del tempo pieno e l’aspetto più grave è che questa riduzione d’orario è concentrata nelle regioni dove la dispersione scolastica arriva a percentuali spaventose che superano il 30 per cento. Un bambino lombardo può contare su 40 ore di scuola settimanali, mentre in Sicilia il 92,8 per cento degli alunni deve accontentarsi di sole 27 ore, che in rari casi diventano 30”.
Le cause sono note e anche noi ne abbiamo lungamente parlato, a partire, nel Sud, dalle resistenze da parte di numerose famiglie e in modo particolare da parte delle Regioni e dei Comuni che non riescono a garantire mense, trasporti, luoghi coerenti per la sicurezza igienica degli alunni.
E non solo, ma non si riesce nemmeno a immaginare che proprio nelle zone più depresse “godere di un pasto comune, che dovrebbe essere totalmente gratuito per chi ne ha bisogno, va incontro alle esigenze delle centinaia di migliaia di minori che, sempre più numerosi, si trovano a vivere in condizioni di povertà assoluta”. E creerebbero occupazione “incentivando un’alimentazione capace di valorizzare i prodotti locali e abituando i più piccoli a una maggiore differenziazione alimentare e a una relazione qualitativamente migliore con il cibo necessaria in un paese in cui sempre più adolescenti si dibattono tra anoressia e obesità”.
Tutto questo, dimenticando ancora che “Più tempo bambine e bambini possono trascorrere in luoghi pubblici ricchi di stimoli e proposte, più tempo ragazze e ragazzi hanno modo di studiare, ricercare insieme e confrontarsi in un corpo a corpo vivace con la cultura, più libertà di scelta avranno nel costruire in autonomia e libertà il proprio futuro”.
Ma c’è pure un altro motivo a favore del tempo pieno, quello cioè della diminuzione drastica “dell’assurdità di riempire bambini e ragazzi, fin dalle prime classi, di compiti a casa che spesso costringono i genitori (quasi sempre le donne) a un impegno e a una funzione non loro”.
E ancora, si legge su Internazionale, “nelle scuole aperte mattina e pomeriggio (e magari anche la sera e nei fine settimana) si potrebbero realizzare più intrecci e scambi tra apprendimenti formali e informali, contando anche su collaborazioni con operatori del terzo settore e del volontariato sociale”.
Ma tempo pieno soprattutto nella secondaria di secondo grado dove “riguarda solo il 13 per cento di studenti”.
La scuola secondaria di primo grado è infatti da decenni l’anello più fragile del percorso formativo e dove cresce pure “l’alienazione riguardo allo studio e al desiderio di cultura”. Troppo spesso infatti “le diverse discipline sono insegnate tutte allo stesso modo. Si legge un capitolo o si ascolta una lezione, la si memorizza, e poi c’è una verifica o un’interrogazione che certifica quanto ciascuno ha appreso di quel contenuto”.
Per questo “Rimettere all’ordine del giorno il tempo pieno potrebbe finalmente permettere di affrontare le questioni normative riguardo alla sicurezza, alla responsabilità e ai costi da sostenere in collaborazione con i comuni” e che comporterebbe “la costruzione di mense e possibilmente di cucine in ogni istituto, con un ripensamento e una nuova progettazione degli spazi, per adattarli a un uso molteplice. Comporta dunque una gran quantità di interventi di edilizia scolastica, necessari e urgenti in un paese dove il 58% dei fabbricati è ancora privo di agibilità”.
Da qui la necessità e l’urgenza di introdurre “obbligatorio e generalizzato il tempo pieno dai tre ai quattordici anni, perché questa scelta potrebbe rivelarsi tra le più efficaci riguardo al recovery fund che ha il nome di ‘next generation EU’, e dunque va usato in primo luogo per risarcire i ragazzi “su cui si sta rovesciando un debito pubblico di enormi proporzioni”.
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